Il patto di non concorrenza post contrattuale nel franchising

Valerio Pandolfini

Data

mar 08, 2013

Una clausola molto frequente nei contratti di franchising (e non solo), e che rappresenta un vero e proprio spauracchio per i franchisee, è il patto di non concorrenza post-contrattuale. 

Si tratta di una clausola che dà spesso luogo a problematiche molto delicate nell’ambito dei contratti di franchising. In generale, attraverso il patto di non concorrenza il franchisee si impegna a non svolgere attività in concorrenza con quella esercitata dal franchisor, per un certo periodo di tempo. Si tratta di un patto molto comune nell’ambito dei contratti di franchising, perché ha la funzione principale di tutelare la reputazione e l’identità comune della rete, e di impedire che il know-how e l’assistenza prestata dal franchisor vadano a vantaggio dei concorrenti. 

Come l’esclusiva, anche il patto di non concorrenza non è un elemento essenziale del contratto di franchising, cioè non è automaticamente inserito nel contratto, e quindi se non è espressamente previsto nel contratto non è operante tra le parti. Il patto di non concorrenza può essere riferito sia al periodo in cui è vigente il contratto di franchising, sia per un periodo di tempo successivo al suo scioglimento. In questo secondo caso si ha appunto il patto di non concorrenza post contrattuale. Quest’ultimo è finalizzato ad evitare che il franchisee, dopo la fine del contratto, riacquistando la possibilità di gestire in modo autonomo la propria impresa - eventualmente anche nello stesso ramo commerciale e nella stessa zona in cui operava durante il rapporto di franchising -, sottragga all’ex affiliante la clientela con la quale aveva avuto contatti in precedenza, e quindi lo danneggi. Diversamente da quanto spesso si ritiene, non è richiesto per la validità di un patto di non concorrenza il pagamento di un corrispettivo in favore del franchisee. Il che naturalmente non vieta che, nell’economia generale del contratto di franchising, si tenga conto di tale patto, ad es. in relazione all’esclusiva o alle royalties che devono essere corrisposte dal franchisee. È invece richiesta per la validità del patto la specifica sottoscrizione da parte dell’affiliato, ai sensi degli artt. 1341 e 1342 codice civile, trattandosi di clausola vessatoria inserita nelle condizioni generali di contratto predisposte dal franchisor. 

Il patto di non concorrenza è regolato dall'art. 2596 del Codice civile, il quale prevede che tale patto può avere una durata massima di cinque anni e deve essere circoscritto ad una determinata zona o a una specifica attività. Tuttavia, secondo la giurisprudenza prevalente l'art. 2596 c.c. non si applica agli accordi tra soggetti che operano a diversi livelli della linea concorrenziale (cd. accordi verticali), come appunto accade nel franchising. Di conseguenza, un patto di non concorrenza inserito in un contratto di franchising non incontra generalmente i limiti indicati dall’art. 2596 c.c.; il che significa che in linea di principio le parti (e in particolare il franchisor) sono libere di disciplinare il patto di non concorrenza nel contratto come preferiscono. 

Tuttavia, poiché il patto di non concorrenza produce l’effetto di comprimere la libertà di iniziativa economica dei contraenti, anche esso soggiace ai principi previsti dalle norme antitrust. I contratti di franchising, qualora abbiano effetti rilevanti sul mercato italiano (il che accade molto frequentemente), sono soggetti alle norme antitrust europee, e in particolare al Reg.to CE n. 330/2010, direttamente applicabile anche ai contratti di franchising stipulati in Italia.

Tale Regolamento prevede che i patti di non concorrenza in vigenza del contratto non possono superare la durata di 5 anni. Per quanto concerne invece i patti di non concorrenza post-contrattuale, il Regolamento prevede che essi: 

a) devono essere necessari per la protezione del know how del franchisor; 

b) devono riferirsi a beni o servizi in concorrenza con quelli oggetto del contratto di franchising; 

c) devono essere limitati ai locali in cui il franchisee ha operato durante il contratto; 

d) non possono avere una durata superiore a 1 anno dopo il termine del contratto. 

Dunque, sotto il profilo antitrust vi sono poche limitazioni per quanto riguarda il patto di non concorrenza durante il contratto di franchising, e molte limitazioni per quello successivo al termine del contratto. L’estensione del patto di non concorrenza dipende da come è formulata la singola clausola contrattuale. Ad es., è frequente che il divieto di concorrenza sia molto ampio, e che riguardi ogni attività simile a quella esercitata dall’affiliato durante il contratto, sia essa effettuata direttamente o indirettamente (ad es. tramite società partecipate, parenti, prestanomi, cessioni o affitto di azienda, etc.), in modo da evitare facili elusioni dell’obbligo di non concorrenza da parte di soggetti legati all’ex franchisee. In caso di violazione di un patto di non concorrenza post-contrattuale, il franchisor può esperire un’azione di tipo risarcitorio; è tuttavia molto più rapido ed efficace chiedere un provvedimento inibitorio in via d’urgenza, ai sensi dell’art. 700 c.p.c, con cui il franchisor può bloccare l’attività dell’ex franchisee e tutelare l’immagine della rete.

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