Musica dall’alto (?) dei cieli

Redazione Beesness

Data

ott 05, 2012

“Signori, benvenuti. Avanti, prego. Ci sono posti liberi nelle prime file. Lei, con quella maglietta a righe, non spinga! Come dice? Non trova posto? Ma si figuri…. Può scegliere quelle nuvolette laggiù; oppure, se preferisce, ci sono quei cirrocumuli a sud-ovest. Ha a disposizione l’intero orizzonte!”

Stacco. Dissolvenza. Domanda: ma voi ce li vedete i top manager di Apple, Google, Amazon e Facebook nel ruolo di imbonitori? No? Eppure è proprio la posizione che stanno occupando per inaugurare la nuova era della musica digitale. Eh, già, la musica digitale. Quella illegale dei pirati. Quella legale di iTunes. Quella che può salvare l’industria discografica. Quella che ormai su Facebook ci si trova di tutto… E poi… ah già, quella sul telefonino!

Antefatto
Negli ultimi anni si è fatto un gran parlare del “problema” della musica digitale. Una guerra che ha visto contrapporsi case discografiche a corto di fatturato (e di idee) e hacker che ripetevano con insistenza che nell’era di Internet i modelli tradizionali di distribuzione erano da considerare destituiti di ogni fondamento. 
Oggi, dopo anni di sanzioni, di azioni legali, di bilanci in rosso, sembrano esserci tutte le condizioni per la firma di una pace duratura. Perché questo possa accadere, occorre prima di tutto però che venga condiviso un concetto un po’ macchinoso: i consumatori devono accettare di passare dalla proprietà del singolo brano musicale alla proprietà dell’accesso a questo ultimo. Un’operazione ampiamente facilitata dal ruolo pionieristico di iTunes e dei suoi emuli, che hanno diffuso nel mondo miliardi di brani perfettamente legali e totalmente indipendenti dal supporto fisico tradizionale. 

Posta, immagini, video…audio
A questo punto, con la musica trasformata in una manciata di dati su un server remoto, è ovvio che le collezioni private possano essere rese disponibili ai proprietari attraverso una connessione di rete: la stessa cosa succede ormai da tempo con la posta elettronica (Gmail), con foto e video (Facebook, YouTube).
Insomma, con l’arrivo dei servizi cloud (nella loro essenza più popolare sono hard disk in rete) si è avvicinato l’orizzonte da sempre evocato dai pirati: la distribuzione digitale della musica fa registrare sempre nuovi record, gli album escono sulla Rete con anticipo rispetto al negozio dietro casa, gli acquirenti di apparecchi per la riproduzione di cd sono in netto calo. L’industria discografica, però, guarda al futuro con fiducia: quello che fino a poco tempo fa poteva essere uno scenario da incubo è infatti una soluzione elegante a tutti i problemi. Già, perché i nuovi servizi legati al mondo cloud sono per lo più a pagamento, o comunque legati all’acquisto di musica legale. 

Uno sguardo al mercato
Nel momento in cui scriviamo, il mercato della musica digitale si divide pressappoco fra lo schiacciante 70% dell’ecosistema Apple, il 10% del marketplace Amazon e un restante 20% che viene spartito fra circa 500 operatori. Ma le cose stanno cambiando. Anche perché sta per entrare in gioco un nuovo player piuttosto scomodo che risponde al nome di Facebook
Nella nuova versione del social network per eccellenza ci sarebbe una scheda “musica”, dove ciascun utente potrà postare le canzoni preferite e renderle così visibili a tutti gli amici. 
Che potranno ascoltare gratuitamente i primi 30 secondi di ciascun pezzo. Ma che, se vorranno ascoltare per intero la musica consigliata dagli amici, dovranno pagare un abbonamento mensile con un costo variabile da 5 a 10 euro. Una “fee” sul modello della tv a pagamento che verrebbe suddivisa fra gli operatori e le etichette discografiche. E che già oggi può contare su un catalogo di circa 14 milioni di brani.

Cloud music.
Cosa cambia

Chi vincerà? Lo streaming su abbonamento o il download a pagamento sui player hardware? Difficile dirlo, almeno per il momento. L’impressione degli operatori, comunque, è che il disco tradizionale sia davvero sul viale del tramonto. E mentre i nostalgici lanciano anatemi sulla bassa qualità che ancora caratterizza la musica digitale – il miglioramento della quale, come sempre, è solo questione di tempo– emerge una domanda inquietante.
Se il mercato rimarrà nelle mani di pochi monopolisti si imporranno i numeri della cultura di massa: a quel punto sarà ancora possibile realizzare –e vendere– i prodotti di nicchia che hanno sempre dato lustro, varietà e sapore al settore discografico?
La risposta, ahinoi, è… Blowing In The Wind.

di Alessandro De Cristofori

Fonte: www.beesness.it