Axerve Easy POS: soluzioni per franchising
Se stai pensando di avviare un franchising o di aprire...
Come è noto uno dei punti qualificanti del contratto di
franchising è costituito dalla concessione in godimento
all’affiliato di un know-how sviluppato e implementato con
successo dal franchisor sul mercato.
Il know-how, nella sua natura di insieme di conoscenze
tecniche e pratiche non brevettabili, costituisce un patrimonio
di conoscenze non statico ma, al contrario, in continua evoluzione:
allo sviluppo dello stesso possono contribuire sia il franchisor,
che infatti è tenuto a tenere aggiornato il franchisee, sia
quest’ultimo che, nell’utilizzo del know-how trasferitogli
dall’affiliante, può autonomamente sviluppare miglioramenti dello
stesso suscettibili di apportare un valore aggiunto in termini di
efficacia ed operatività del know-how stesso.
Sorge dunque la questione della “titolarità” – da intendersi in
senso atecnico - di questo “valore aggiunto” (è del franchisor o
del singolo franchisee che lo ha sviluppato?) e, conseguentemente,
della remunerazione o meno dello stesso da parte del franchisor al
franchisee.
La legge 129/2004 detta sul punto una norma, l’art. 3, c. 4,
lett., che non brilla certo per chiarezza: essa prevede che nel
contratto possa – ma non debba necessariamente – essere
prevista una clausola specifica che precisi le “modalità di
riconoscimento dell’apporto di know-how da parte
dell’affiliato”.
Si può desumere che, facendo riferimento la norma ad un
“riconoscimento all’affiliato”, la stessa voglia intendere che il
know-how e il suo sviluppo siano e restino acquisiti alla sfera del
franchisor che, solo se previsto in contratto, deve riconoscere,
nella misura e modalità ivi previste, un corrispettivo economico al
franchisee. Questo non esclude ovviamente che franchisor e
franchisee possano accordarsi, anche successivamente alla
sottoscrizione del contratto, pur in assenza di un’espressa
previsione contrattuale.
E’ del tutto evidente che il franchisee tanto più si impegnerà a
sviluppare il know-how, e, successivamente, a condividerlo col
franchisor e gli altri affiliati, quanto più ne ricaverà un
vantaggio economico.
La questione dell’apporto del know-how da parte del franchisee
viene talora paragonata, in maniera non molto appropriata, alla
questione della titolarità delle invenzioni – sotto il profilo del
diritto allo sfruttamento economico – fatte da lavoratori
dipendenti in costanza del rapporto di lavoro subordinato.
Va chiarito in primo luogo che vi è una netta distinzione
tra know-how e invenzione, intendendosi per invenzioni i
ritrovati tecnici che abbiano i requisiti della la novità (non
devono essere già stati fatti da altri), l’industrialità
(l'attitudine ad essere applicati industrialmente) e la
caratteristica di essere il risultato di una attività inventiva:
sono, in sintesi, una soluzione innovativa - suscettibile di
essere brevettata -, ad un problema tecnico. Il know how è
invece quell’insieme di cognizioni, frutto di sperimentazioni ed
esperienze maturate “sul campo”, non brevettate né brevettabili, le
quali, per la loro configurazione, non sono di comune dominio e
risultano utili all’esercizio di un’attività imprenditoriale,
assicurandole un vantaggio competitivo rispetto alle imprese
concorrenti.
In secondo luogo la posizione giuridica del lavoratore
dipendente subordinato è del tutto differente da quella del
franchisee, il quale, pur nel quadro di una stretta
cooperazione e integrazione nella rete del franchisor, è e resta
un imprenditore autonomo.
Per quanto riguarda le invenzioni dei lavoratori dipendenti, l’art.
64 del D. Lgs. del 10/02/2005, n. 30 – cd. Codice della
Proprietà intellettuale – prevede, con specifico riferimento
alle invenzioni “brevettabili” fatte dai lavoratori dipendenti - la
distinzione in tre casi: