Manuale Operativo Franchising
Per chi è: Ideale per franchisor, il...
Contratto di franchising e contratto di somministrazione: quali legami hanno, nel diritto e nella pratica, questi due contratti che rientrano entrambi nella categoria più generale dei cosiddetti “contratti di distribuzione commerciale” ?
Cominciamo col dire che “Contratti di distribuzione commerciale” sono definiti, in dottrina e nella prassi, tutti quegli schemi contrattuali per mezzo dei quali un produttore - o un distributore - provvede alla vendita o alla distribuzione dei prodotti al consumatore o all’utilizzatore finale attraverso la cooperazione con altre imprese indi pendenti ed autonome: questa “cooperazione”, attraverso accordi di natura contrattuale, con altri soggetti economici indipendenti sostituisce, ai fini distributivi, le più tradizionali forme di integrazione verticale di tipo proprietario quali, ad esempio, i punti vendita diretti del produttore o del distributore.
Quali sono i vantaggi, per il produttore o il distributore, di una simile cooperazione?
In estrema sintesi:
E quali sono, d’altro canto, i vantaggi per l’impresa che coopera?
In genere la rinomanza del prodotto che si distribuisce e il risparmio sui costi pubblicitari e di marketing, talvolta sconti sui prezzi di acquisto dei prodotti da commercializzare.
La somministrazione
La somministrazione, ai sensi dell’art. 1559 codice civile, è quel
contratto con il quale una parte - detta somministrante - si
assume, verso corrispettivo di un prezzo, l’obbligo di eseguire, a
favore dell'altra - detta somministrato - prestazioni periodiche o
continuative di cose. La somministrazione prevede quindi,
all’interno della cornice di un unico schema contrattuale, che
funge essenzialmente da contratto quadro, una pluralità di
prestazioni da effettuarsi a cadenza continuata – ovvero senza
soluzione di continuità, si pensi all’erogazione di energia
elettrica o di gas – o a scadenze periodiche prefissate – si pensi
alla fornitura mensile di carta a una tipografia – o ancora, a
richiesta del somministrato secondo il suo fabbisogno – si pensi
alle forniture di cibi e bevande ai ristoranti: questo al fine di
soddisfare un bisogno continuo o periodico del somministrato.
La somministrazione è regolata, oltre che dalle norme
specificamente dettate per questa figura dagli articoli 1559 e
seguenti, anche da altre norme dettate per altri contratti tipici,
in particolare dalle norme sulla vendita e da quelle sulla
locazione: nella cosiddetta somministrazione di consumo,
nella quale i beni passano in proprietà al somministrato, si
applica la disciplina della vendita; nella cosiddetta
somministrazione d’uso, quando oggetto di somministrazione
sono beni non consumabili da usare e poi restituire, si applica la
disciplina sulla locazione. Le condizioni tutte – prezzi, scadenze,
modalità di esecuzione - sono contenute nel contratto quadro, di
cui i successivi e singoli ordini non sono che un momento attuativo
dell’unico contratto di somministrazione e non già negozi giuridici
distinti e ulteriori. Quando il somministrato è il consumatore o
l’utilizzatore finale delle cose oggetto delle prestazioni
periodiche o continuative non sussiste, all’interno dello schema
della somministrazione, alcun fine di distribuzione di beni come
sopra individuato: ma quando il somministrante e somministrato sono
due imprenditori e il somministrante esegue le prestazioni
periodiche e continuative di cose in favore del somministrato, che
le acquista per commercializzarle, o, comunque, per cederle a
terzi, ecco che il fine distributivo dell’operazione ricompare in
tutta la sua evidenza. In quest’ultimo caso, ovvero quando
entrambe le parti del contratto sono imprenditori, di solito il
contratto di somministrazione prevede anche una clausola di
esclusiva, che è una clausola solo eventuale nella disciplina
della somministrazione: la clausola di esclusiva può essere o
reciproca tra somministrato e somministrante, oppure a carico di
una sola delle parti (articolo 1567 e 1568 codice civile). Nel caso
di esclusiva a favore del somministrante, il somministrato non può
ricevere da terzi, prestazioni della stessa natura di quelle
fornite dal somministrante esclusivista, né può provvedere con
mezzi propri alla produzione delle cose che formano oggetto del
contratto: in caso di esclusiva a favore del somministrato, il
somministrante non può compiere a favore di altri, nella zona in
cui l'esclusiva è concessa e per la durata del contratto, né
direttamente né indirettamente, prestazioni della stessa natura di
quelle che formano oggetto del contratto. E, proprio nella norma
codicistica che disciplina l’ipotesi di somministrazione con
esclusiva a favore del somministrato, la legge disciplina
l’ulteriore ipotesi del somministrato che, oltre ad essere
beneficiario dell’esclusiva di ricevere le cose dal somministrante,
si assume l’ulteriore obbligo, verso il somministrante, di
promuovere, in una zona assegnatagli, la vendita delle cose di cui
ha la fornitura in esclusiva: ai sensi dell’art. 1568 c.c.
“l’avente diritto alla somministrazione che assume l’obbligo di
promuovere, nella zona assegnatagli, la vendita delle cose di cui
ha l’esclusiva, risponde dei danni in caso di inadempimento a tale
obbligo”. In questa particolare ipotesi di somministrazione tra due
imprenditori con obbligo del somministrante di fornire beni in
esclusiva al somministrato e obbligo di quest’ultimo di promuovere
la vendita, in una zona, dei beni di cui è esclusivista, si
realizzano in pieno tutte le condizioni che connotano i contratti
di distribuzione. Ciò detto, come può inserirsi o collegarsi il
contratto di somministrazione al contratto di franchising ? Prima
di dare una risposta a questo interrogativo, inquadriamo
sinteticamente anche la figura del franchising.
Il franchising
Il franchising, o affiliazione commerciale, è un contratto tra due
soggetti giuridici, entrambi imprenditori, economicamente e
giuridicamente indipendenti, in base al quale una parte – detta
franchisor o affiliante – concede all’altra - detto franchisee o
affiliato - l’utilizzo e lo sfruttamento di un insieme di diritti
di proprietà industriale e intellettuale (marchi, brevetti,
insegna, modelli di utilità) nonché di un know-how e si impegna
altresì a fornire un’assistenza tecnica e commerciale al medesimo:
il tutto, come precisa l’articolo 1 della legge n. 129/2004, “allo
scopo di commercializzare determinati beni o servizi”. La natura
di contratto di distribuzione è quindi insito, per definizione
stessa, nella figura contrattuale del franchising che peraltro, a
differenza, come si è visto, della somministrazione, può riguardare
la commercializzazione tanto di beni quanto di servizi: in
proposito si usa fare la distinzione tra “franchising di prodotto”
e “franchising di servizi”. Per quel che riguarda il franchising di
distribuzione di prodotti, la legge n. 129/2004 - che ha regolato,
tipizzandolo, il contratto di franchising - nulla specifica, e
tantomeno impone, in ordine alle modalità con le quali il
franchisee deve procurarsi” i beni oggetto della sua attività
di commercializzazione: a tal fine soccorrono, all’interno del
sistema contrattuale quadro del franchising, altre figure
contrattuali tipiche, collegate funzionalmente al franchising,
attraverso le quali il franchisee acquista o si procura i beni
oggetto di commercializzazione. E, appunto, tra queste figure
contrattuali, c’è, accanto alla vendita, anche la
somministrazione di cose. Nella pratica può avvenire che, nelle
pattuizioni contrattuali del contratto di franchising, venga
inserita una clausola che prevede un obbligo, a carico del
franchisor somministrante, di fornire al franchisee somministrato -
che a sua volta si obbliga ad acquistare - un quantitativo minimo
di beni su base periodica: nel contratto vengono previste
quantità, modalità, prezzi o, in mancanza di puntuale previsione,
modalità per determinarli. In una siffatta ipotesi di contratto di
franchising, con inserimento di una clausola con la quale il
franchisee si obbliga, per tutta la durata del contratto, ad
acquistare dal franchisor, a scadenze periodiche, un determinato
quantitativo minimo di merci al fine di commercializzarle nella
zona assegnatagli, e con l’impegno a non commercializzare prodotti
concorrenti a quelli del franchisor stesso, si realizza, di fatto,
un contratto di distribuzione commerciale molto simile a quello
della cosiddetta concessione di vendita, ossia quel contratto
quadro di scambio e collaborazione tra imprenditori, non tipizzato
dalla legge, con cui il produttore di un bene o un commerciante
all’ingrosso - detto concedente - conferisce a un altro soggetto –
detto concessionario - il diritto di commercializzare i prodotti in
un una area determinata e per un certo periodo di tempo.
La differenza tra le diverse ma affini – almeno nello scopo economico - fattispecie di
1) somministrazione con esclusiva a favore del somministrante e obbligo del somministrato a promuovere la vendita,
2) contratto di concessione di vendita e
3) contratto di franchising
- tutte e tre finalizzate alla distribuzione di beni dal produttore all’utilizzatore - si sostanzia nel minor o maggiore grado di integrazione organizzativa e di interdipendenza tra le due parti contrattuali.
Nella concessione di vendita in senso stretto, ad esempio, il concessionario assume, nei confronti del concedente, obblighi più stringenti di quelli che assume il somministrato che promuove la vendita dei prodotti del somministrante: sia il concessionario che il somministrato si obbligano a rivendere i prodotti del concedente e del somministrante ma, a carico del concessionario, oltre all’obbligo di rivendere, sono contrattualmente previsti vincoli sulle modalità organizzative della vendita, sulla politica dei prezzi e questo a motivo del fatto che l’immagine sul mercato del concedente-produttore dipende anche dal modo in cui il concessionario organizza la rivendita. Nel franchising di distribuzione di prodotti, il livello di integrazione tra le due parti contrattuali è ancora più stringente rispetto a quello della concessione di vendita perché in questo schema contrattuale si aggiungono aspetti che caratterizzano specificatamente questa figura: in particolare l’obbligo, assunto dal franchisor, di concedere al franchisee il godimento dei diritti di proprietà intellettuale e industriale, il godimento di un know-how e una assistenza tecnica e commerciale.
Possono esistere casi nei quali le differenze, specie tra la concessione di vendita e franchising, sono molto sottili: ma, vista la diversa disciplina applicabile – più stringente, per esempio, nel franchising – non è indifferente classificare un contratto come rientrante in un tipo piuttosto che in un altro. In tal senso soccorre la giurisprudenza della Cassazione la quale, con riguardo ai principi di ermeneutica contrattuale, ha ribadito come il nomen iuris dato al contratto dalle parti, deve, ovviamente, essere tenuto in conto dal giudice chiamato a pronunciarsi sulla vera natura di un contratto, giudice che tuttavia, avuto riguardo all’effettivo contenuto del rapporto, e dal suo concreto svolgimento, può discostarsi dal nomen impiegato e dare al contratto una qualificazione diversa e più aderente alla realtà dei fatti con conseguente applicazione della relativa disciplina normativa franchising
*Avv. Donatella Paciello
Avv. Elena Pagliaretta
Studio Legale Associato
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