I franchisor internazionali e il mercato italiano

In un contesto di crisi economica e finanziaria globale, il franchising si pone come un valido strumento atto a creare nuove opportunità di lavoro e a promuovere la crescita e lo sviluppo delle economie nazionali. Questo è possibile anche grazie all’accordo di master franchise, che si esplica quando un franchisor, di origine straniera, decide di espandere la propria rete in differenti paesi attraverso la ricerca e la selezione, in loco, di imprenditori da affiliare alla catena. La ricerca dal titolo “L’attrattività del mercato italiano: il punto di vista dei franchisor internazionali”, promossa da Confimprese, che raggruppa le imprese del commercio moderno, e realizzata dal Cesit/Università di Napoli con la collaborazione di PWC e il supporto di UbiFrance, evidenzia i punti di forza e le criticità presenti non solo nel mercato italiano, ma anche nel sistema paese. 

Lo studio nasce dall’esigenza di verificare, attraverso l’esperienza concreta degli operatori, quale sia la percezione del mercato italiano da parte dei franchisor internazionali, presenti e non sul nostro territorio. La ricerca prende in considerazione e analizza, in modo dettagliato, i fattori in grado di condizionare lo sviluppo di reti estere in Italia. L’indagine si basa su un campione rappresentativo di franchisor non italiani attivi nei settori Food e Non Food (Abbigliamento, Servizi, Arredamento e Complementi). 

 

Entrando nel merito della ricerca, si rileva che, secondo gli operatori intervistati, la formula del franchising in Italia ha ampie possibilità di sviluppo grazie anche, e soprattutto, a modelli imprenditoriali di tipo familiare che dispongono di fonti finanziarie proprie, fondate sul risparmio familiare e personale. Per contro, si evidenziano alcune criticità, a livello imprenditoriale, di limitata capacità gestionale e organizzativa e in campo linguistico. Questa ultima considerazione comporta, da parte dei franchisor stranieri, un forte investimento iniziale nella selezione, formazione e assistenza dei singoli imprenditori durante il processo di maturazione verso standard internazionali. Inoltre, un altro passo, ritenuto di importanza cruciale, prevede uno sforzo di contestualizzazione del concept alla variegata realtà italiana e una capacità di adattamento della formula commerciale alle differenze tra il settentrione e il meridione, ma anche tra città e regioni, insieme a una solida struttura organizzativa. 

Più nel dettaglio, quali sono le opinioni degli intervistati sul tema del mercato e della concorrenza? Le considerazioni da parte dei franchisor internazionali variano sulla base del settore merceologico preso in esame. L’elevata frammentazione del sistema commerciale del settore Abbigliamento, facilita l’ingresso di nuovi operatori in franchising. I franchisor della Ristorazione presenti in Italia rilevano che gli imprenditori del settore sono competenti e dotati di capacità di autofinanziamento, anche se paiono poco inclini al versamento delle royalty richieste, mentre la concorrenza per alcune tipologie di prodotti (pizza, gelato) risulta estremamente elevata per gli operatori non ancora presenti nel mercato italiano. Il settore della Gdo si conferma molto coerente con la formula del franchising, permettendo una significativa espansione delle reti interessate.

Dai risultati dell’indagine emerge come il settore dei Servizi sia ancora molto arretrato in termini di format innovativi (esempi: rigenerazione cartucce per stampanti, servizi di pubblicità e comunicazione per aziende) e di frammentarietà di alcuni tipi di servizi (ad esempio quelli dedicati alla riparazione autovetture). In questo ultimo caso, i franchisor stranieri devono affrontare uno sforzo notevole al fine di esportare modelli di business più strutturati. 

Per contro, il mercato italiano dell’Arredamento si presenta come molto attraente e dotato di capacità di espansione in franchising, in quanto il rivenditore non specializzato è in fase di estinzione e il format risulta essere standardizzato. 

Gli intervistati, muovendosi all’interno di un quadro di limitata internazionalizzazione del sistema culturale italiano, sia in termini linguistici sia comportamentali a livello imprenditoriale, segnalano come fondamentale lo sforzo per rendere noto e riconoscibile il brand,  soprattutto se nuovo, anche attraverso l’apertura di punti vendita a gestione diretta. Rispetto alla dicotomia nord-sud, si evidenziano divergenze locali a livello di comportamenti di consumo, a volte incomprensibili. Inoltre, rispetto agli imprenditori italiani, quelli stranieri residenti sul territorio risultano essere più ricettivi alle proposte internazionali. I pregiudizi in termini di ruolo professionale e genere, di età, di lingua e di cultura possono costituire un ostacolo ad accordi di master franchise. Un’altra criticità rilevata dagli intervistati riguarda il coacervo di norme amministrative, spesso in contrasto tra di loro e differenti a livello regionale e locale, rispetto a quelle vigenti in altri paesi europei. L’Italia, poi, non ha ancora applicato i regolamenti europei in materia di condizioni di vendita e di trasporto delle merci. Il settore della ristorazione richiede uno studio a sé, in quanto la normativa che regola il mercato del lavoro risulta essere molto complessa. 

Al fine di agevolare l’accesso al credito da parte dei master franchisee, molti affilianti stranieri mettono a disposizione dei loro partner accordi con banche internazionali, già a conoscenza delle dinamiche di investimento in altri paesi, in quanto il sistema finanziario italiano non distingue la formula del franchising da altri modelli commerciali e, quindi, l’accesso al credito richiede tempi molto lunghi. Il credito allo start-up, comunque, costituisce un problema in tutta Europa. Il costo del lavoro e il potere dei sindacati, in Italia, risultano essere più elevati rispetto agli altri paesi europei. Al contrario, i prezzi del mercato immobiliare sono considerati allineati al contesto europeo. 

Per quanto concerne le infrastrutture, sia di comunicazione sia di trasporto, e la logistica, i rispettivi ritardo e costo influenzano negativamente lo sviluppo del franchising come, peraltro, quello di altre realtà imprenditoriali. A proposito di questo ultimo punto si evidenzia, per gli operatori stranieri, la convenienza della crescita a “grappolo”, che prevede di con centrarsi solo nei capoluoghi di provincia. Si segnalano, inoltre, ritardi nell’adozione della banda larga, che causano difficoltà nell’utilizzare tecniche di comunicazione e di promozione peculiari del franchising. Tuttavia, i franchisor americani, già abituati a operare in paesi poco sviluppati, risultano essere meno preoccupati delle carenze a livello di infrastrutture. 

A conclusione dell’indagine, i franchisor intervistati si trovano concordi nell’affermare che, a causa delle peculiarità e delle complessità proprie del mercato italiano, non si possa prescindere dall’apertura di una sede legale e di una struttura stabile che conoscano il sistema normativo, territoriale, amministrativo e possano seguire, step by step, lo sviluppo della rete in franchising. Da ultimo, ma non per importanza, gli operatori segnalano come fondamentale l’intervento delle associazioni di categoria nella fase di startup e di reclutamento dei master franchisee, insieme a un impegno più incisivo nel diffondere la cultura del franchising e nel promuovere la formazione degli imprenditori italiani sulle caratteristiche e sui vantaggi della formula. Infine, per quanto detto sopra, emerge anche la necessità di potere usufruire di un servizio di consulenza giuridica. Altre variabili, prese in attenta considerazione dagli operatori intervistati non ancora presenti in Italia, sono il reddito medio pro capite, le abitudini di consumo, lo sviluppo potenziale del mercato di riferimento e la concorrenza.

A cura di Laura Bonani

Fonti:

www.beesness.it

www.confimprese.it