Possono due 29enni creare un sito di design famoso in tutto il mondo?

Silvio Zannoni

Data

ott 26, 2012

Hanno parlato di loro con enfasi il “Corriere della Sera” e “Vogue”: si tratta di due giovani imprenditori milanesi, Patrick Abbattista e Riccardo Capuzzo, che stanno riscuotendo un grande successo a livello internazionale.  

Sono stati tra gli organizzatori di Moscow Design Week e hanno contribuito alla Settimana del Design di Pechino. Ma è Design42Day, il sito creato nel 2007 da Riccardo, e di cui Patrick è entrato a far parte in qualità di socio nel 2010, che in breve tempo è passato da blog di nicchia all'essere una rivista web internazionale di prestigio. I due giovani si occupano con Design42Day di selezionare e promuovere le migliori creazioni di design, utilizzando la “meritocrazia” come un unico parametro di giudizio. Anche Beesness ha voluto conoscerli e capire i motivi del loro successo e le loro personali esperienze.

 

Quanto può essere importante puntare sul design e sull'innovazione per il successo di un prodotto sul mercato?

R.: "Per quanto riguarda l'innovazione nel Design vanno considerati due aspetti importanti: da un lato, innovare significa creare prodotti più attraenti per il mercato (dai prodotti classici dell’arredamento fino ad oggetti di uso comune come una bottiglia d'acqua, un porta-scotch, o una spugna per lavare i piatti), il che si traduce in un ritorno molto elevato in termini di vendite e comunicazione; dall’altro, però, produrre un oggetto ad alto contenuto di Design e, quindi, innovativo, a volte richiede investimenti significativi e non sempre, anzi in pochi casi, si ha la certezza che il risultato finale verrà premiato dai consumatori. Per attenuare questo secondo aspetto esistono diverse fonti attendibili che si occupano proprio di mettere in rete novità e tendenze. Un esempio sono i cosiddetti siti di cool hunting. Canali che da un lato ti aiutano a capire in cosa investire, dall’altro a spingere i prodotti una volta che sono sul mercato. In ogni caso, comunque, è sempre più forte l’esigenza da parte delle aziende, in risposta alle tendenze generali dei mercati, di puntare sul Design come fattore vincente per la differenziazione dei prodotti/servizi e la fidelizzazione dei consumatori, anche in relazione ai diversi casi di successo come Apple, IKEA, etc..”

Il potere virale di internet è sfruttato al massimo quando si tratta di condividere immagini e più i tuoi prodotti di design sono belli più le persone in rete saranno invogliate a condividere ("sharare"), re-twittare, like-are, comment-are, +1 etc. etc.! Il successo di Pinterest (social network di condivisione di immagini) e Instagram (App per smartphone e tablet per scattare e condividere in rete immagini con filtri che gli danno un effetto "vintage") sono la conferma del fatto che le persone amano le immagini e soprattutto amano condividerle in rete con gli altri!

"Innovare è difficile perché significa proporre qualcosa che ancora non esiste: trovi tante porte chiuse, tanti che ti guardano dall'alto in basso e che ti dicono di lasciar perdere. A volte perché non capiscono, altre perché hanno schemi mentali consolidati che ne limitano la creatività. Devi essere estremamente convinto delle tue idee e motivato a realizzarle. Ma se riesci a farti notare e a dimostrare che non sei uno sprovveduto, i ritorni sono decisamente alti."

I giovani talenti nel Design/Moda hanno possibilità di emergere?

R. Grazie alla crisi c'è un ritorno alla meritocrazia e alla qualità. Il "posto fisso" non esiste più, anche giustamente. L'unico punto fermo sul quale le persone dovrebbero contare è la propria professionalità o, nel caso di un'azienda, un prodotto o un servizio che siano richiesti dal mercato. Se sei un designer capace, di opportunità in giro ce ne sono tante, magari non sono dietro casa, sono in Olanda, in Cina o in Colombia, ma ci sono. Bisogna essere disposti a muoversi e a mettersi in gioco, mettendo in conto qualche sacrificio.

E per chi non vuole lasciare l'Italia? 

R. In Italia è meglio tornarci dopo che ti sei creato delle referenze e competenze all'estero, perché chiedere a un manager italiano, di vecchio stampo, di credere nei giovani o nell'innovazione è una perdita di tempo. Spesso sono professionisti con approcci e mentalità inadatti ai tempi attuali, e faticano ad adeguarcisi in maniera vincente diventando un ostacolo insormontabile per chi è agli inizi della propria carriera. A un giovane stilista o designer mi sentirei quindi di dirgli di partire dall'estero, sfruttare tutte le opportunità a costo zero che ci sono, perché ce ne sono tante, e poi magari rientrare.

P. Il paese Italia non ha un sistema adatto all’innovazione. A parte in rarissime circostanze, difficilmente presenta le condizioni giuste per permettere a chi ha un'idea di lavorare in funzione di questa. Mancano le infrastrutture, la mentalità, e soprattutto le capacità e la visione di chi dovrebbe far sì che questa cosa accada. Cose che in altri paesi esistono e si auto-alimentano grazie a circoli virtuosi promossi sia dagli enti pubblici che privati. Per innovare non basta svegliarsi la mattina con un’idea geniale in testa. L’innovazione è il frutto di un processo da un lato, e di un ambiente dall’altro. Idealmente, un paese dovrebbe agevolare e potenziare la concretizzazione delle idee, e dovrebbe farlo attraverso una serie di strumenti messi a disposizione di chiunque le abbia, non solo dei giovani. L’innovazione non è fine a sé stessa, ma rappresenta un miglioramento di qualche tipo, di conseguenza deve essere socialmente e culturalmente incentivata, oltre che economicamente supportata. 
Purtroppo, viviamo in un paese che ha spesso innovato grazie alla caparbietà di singoli individui, che da soli hanno avuto la forza e l’intuizione di costruire qualcosa partendo da zero. Tuttavia, singoli imprenditori o manager non possono sostituire ciò che invece dovrebbe fare lo Stato per definire questi percorsi in maniera sistematica, affinché diventino un patrimonio comune per la collettività, in primis per i giovani.
Da un lato manca un sistema Italia in grado di promuovere e favorire la meritocrazia, l’imprenditorialità, l’innovazione. Dall'altro, invece, manca l'opportunità storica: l'Italia è in una situazione di crisi economica aggravata dalla presenza di una classe dirigente (politica, economica, e via dicendo) impossibilitata, per una questione di età (anziani), e incapace, per una questione di inadeguatezza ai cambiamenti in corso, di porre le basi affinché questo avvenga. 
C'è però da dire che l'Italia ha un tessuto economico e industriale che per quanto riguarda il design è il numero 1 al mondo, al punto che chiunque voglia produrre design di qualità si deve rivolgere ai produttori italiani. La stessa Francia, paese con cui siamo costantemente in competizione soprattutto in questo ambito, non ha così tante realtà di produzione.
Da ultimo, aggiungo che c’è sempre il rovescio della medaglia. Gli Italiani sono tra i pochi al mondo in grado di trasformare un’idea in un eccellenza riconosciuta e apprezzata da chiunque. L’Italia non ha un problema di risorse, perché ce ne sono in abbondanza, sia materiali che intellettuali. Il problema è la gestione che ne viene fatta, spesso fonte di enormi sprechi, inefficienze e malafede. A volte basterebbe semplicemente imparare da chi certe cose le fa già, e con ottimi risultati.

R. Se sei un designer, di qualunque tipo, il miglior Paese da cui partire è sicuramente l'Italia (Milano in testa). Godiamo di una pubblicità gratuita che all'estero ci fa molto gioco. Spesso siamo considerati degli esperti di Design semplicemente perché siamo Italiani. E come se chiedessimo a un Giapponese qualunque di parlarci delle tecniche per fare il sushi. Per noi la risposta sarebbe scontata e forse non penseremmo minimamente che non tutti i Giapponesi lo sanno preparare. 

P. E necessario puntare sulle competenze, sul saper fare. Ritengo sia molto meglio un'azienda piccola in cui impari a fare qualcosa, piuttosto che le classiche aziende multinazionali in cui molti giovani sprecano un sacco di tempo a far nulla, unicamente per riempire il CV. Questo è dovuto anche alle false aspettative che in genere si creano durante i corsi di specializzazione, dalla laurea al master. Ciò che fa la differenza in un giovane, e che gli permette sviluppare una professionalità reale, è l’esperienza concreta al di la del nome dell’azienda in cui sta lavorando. Purtroppo non è così comune quest’approccio. In una situazione di crisi o di problem solving il nome prestigioso sul CV conta poco. Servono talenti, appassionati di ciò che fanno, disposti a lavorare giorno e notte per risolvere un problema o per il gusto di costruire qualcosa in cui credono, che si misurano con se stessi prim’ancora che con il nome dato al loro ruolo. Una qualunque posizione manageriale è priva di significato se poi chi la occupa non ha davvero le competenze e le capacità che gli altri si aspettano. E fondamentale che i giovani capiscano questo punto, altrimenti rischieranno di replicare le logiche di cui oggi sono vittime: bassi salari, scarso apprendimento e meritocrazia quasi inesistente.

Che consiglio vi sentireste di dare ai vostri coetanei indecisi se rischiare mettendosi in proprio? 

R. La soluzione ideale è di provare limitando i costi il più possibile, cosa che con internet oggi si può fare. Ad esempio, per un giovane stilista è possibile raggiungere un vastissimo pubblico con tanti siti di settore molto validi per talenti emergenti, cosa che 20 anni fa era impensabile. Se ho una collezione valida in 2 mesi la possono vedere in 400.000 persone.
Inoltre, noi abbiamo comunque sfruttato quelle caratteristiche che tipicamente ci vengono attribuite: creatività, un pò di arte dell'arrangiarsi (fondamentale quando parti con zero risorse sia economiche sia di contatti e vuoi fare un progetto internazionale!), tenere i costi bassi, "vendere" ai collaboratori l'idea: ossia trovare persone che credano nel progetto. 

Qual è l'importanza del team?

La passione condivisa dai tuoi collaboratori per il progetto è, soprattutto agli inizi, più importante delle competenze. La capacità di creare un team affiatato e motivato è un elemento chiave per il successo del progetto: ci sono sempre delle difficoltà che da soli non si riesce a gestire, e diventa tecnicamente impossibile a volte riuscire a far fronte a tutte le necessità senza qualcuno che ti aiuti. Quindi, l'unico modo che hai oggi di portare avanti un'idea, a meno che non tu non abbia delle risorse economiche per comprare le competenze che ti servono, è avere un team di persone anzitutto complementari e che svolgano dei ruoli funzionali all'idea.
Non bisogna fare business a casaccio o a tutti i costi con gli amici, ma con persone che sanno quello che dicono e ovviamente con cui vai d'accordo. Bisogna essere molto pragmatici, non bisogna fare salti nel buio, bisogna essere graduali nelle cose. Non esiste la fortuna che arriva da un momento all'altro. Noi siamo abituati alle storie di chi vede Facebook e altri successi planetari, ma quelli sono dei casi rari ed eccezionali. Bisogna scordarsi il successo immediato. Bisogna invece concentrarsi sul team e sul modello di business: vanno entrambi testati giorno dopo giorno, e bisogna essere disposti a cambiare idea o modello di business in corsa, cercando sempre di fare la cosa migliore indipendentemente dalle opinioni. Contano i fatti.
E fondamentale scegliere le persone giuste, soprattutto agli inizi quando si è ancora in pochi. Le persone valide nel team sono in grado a loro volta di attrarre altri collaboratori di successo.
Inoltre, bisogna essere molto decisi. A volte, presi dallo stato di urgenza si tende a coinvolgere chiunque: invece è meglio collaborare con poche persone, ma che siano quelle giuste. Per questo bisogna essere disposti a fare molti sacrifici. Se serve, lavorare anche fino alle 3 di notte.

Come siete passati dalla fase beta a farvi conoscere; molto spesso c'è chi ci prova, ma poi non riesce a spaccare.. come si fa il salto?

R. Ci sono due elementi fondamentali: 
- il prodotto/servizio deve essere qualcosa che manca ed è richiesto
- devi avere la capacità o avere qualcuno in grado di sviluppare questo prodotto/servizio

P. Il prodotto/ servizio può rispondere a qualcosa che non c'è, o migliorare qualcosa che c'è già. Devi avere già in mente la possibile evoluzione del prodotto. Devi essere disposto a migliorarlo. E poi devi avere la faccia tosta, pensare che non esistono gerarchie o regole prestabilite. Per esempio, significa che non devi farti problemi a scrivere a un top manager di un'azienda per parlargli del tuo prodotto. Se ci credi davvero, devi essere disposto a insistere fino a quando non trovi le risposte che cerchi. Il successo è la conseguenza di un continuo miglioramento. E vero, c’è gente che a volte vi arriva in maniera “fortunosa”, ma quella stessa gente poi rischia di cadere se non compensa rapidamente le eventuali carenze di gestione del successo stesso. Inoltre, non devi mai smettere di ascoltare il mercato, guardarti attorno, farti domande. Ci vuole una tensione costante verso la crescita.

Come si trova un'idea di business?

R. Il segreto è partire sempre da una passione: è l'unica cosa che ti fa fare sacrifici, che ti costringe a voler costantemente migliorare la tua idea, che sia fare il cuoco o il ballerino o lanciare un prodotto sul mercato. La passione per quello che fai è molto spesso più importante del quoziente intellettivo.

P. Esistono persone super-specializzate, ma che poi non riescono ad avere successo perché manca la passione per quello che fanno. Un’idea di business è spesso la conseguenza naturale di ciò che sappiamo fare meglio o a cui siamo più sensibili. Una volta individuata l’idea bisogna immediatamente capire come far si che possa trasformarsi in un progetto concreto, altrimenti scompare nell’arco di poco. 

Quanto consigliereste a chi vuol mettersi in proprio di trovarsi un socio?

R. Nel nostro caso a me servivano delle competenze che io non avevo, ma che aveva Patrick: non avrei neanche potuto leggere decine di libri di marketing per crearmi quelle competenze, perchè a me non piace! Se nel tuo progetto hai assoluto bisogno di competenze che non hai, ti serve qualcuno che le abbia!

P. Devi capire quanto le competenze che ti servono sono strategiche, anche perché non sono i soldi a fare la differenza: un socio che apporta soldi e basta può non bastare. Se hai i soldi, ma non hai le giuste competenze probabilmente non otterrai molto dalla tua idea. D'altra parte anche le competenze da sole non ti portano lontano: ci vuole anche la giusta attitudine. C'è chi è bravissimo a programmare chiuso in casa, ma poi pecca di creatività e così via. La scelta del socio non è una scelta dovuta: deve essere una conseguenza logica. Devi metterti allo specchio e dirti: "che cosa mi manca"? L'umiltà è fondamentale. Spesso viene confusa come una sorta di debolezza, ma non è così. Riconoscere i propri limiti aiuta ad avere più chiara la situazione e a fare le scelte giuste. L'umiltà non è stare zitti: significa mantenere una forte convinzione in quello che si crede, ma al contempo avere la capacità di ascolto, di capire quando si sta sbagliando ed essere disposti a cambiare, aggiustando la rotta. 

L'Italia è ancora un paese per giovani?

P. Si, perchè c'è un grandissimo gap tra vecchi e giovani. Se il potere (in senso ampio: politico, economico, etc.) fosse in mano a una classe di 40/50enni ti direi di no, perche vorrebbe dire che quella classe si è creata le condizioni per mantenere il potere per lungo tempo. Ma il grossissimo gap generazionale tra i giovani di oggi e la classe dirigente fa sì che si crei uno stato di necessità per cui comunque dovranno essere i giovani a governare il paese. C'è spazio, le opportunità ci sono: bisogna andarsele a prendere. Di certo non bisogna aspettarsi che qualcun altro crei le condizioni per te. 

Qual è lo stato mentale dei giovani italiani verso l'imprenditorialità?

R. Vedo tanti ragazzi che vogliono fare impresa. Nel nostro caso, per esempio, abbiamo cercato di incentivare la cosa supportando la creazione di un’associazione presso l’Università Bocconi. Si chiama “Bocconi Students 4 Design” e ha lo scopo di sensibilizzare i giovani sul ruolo del Design nel Business. Ci siamo resi conto che ci sono tanti ragazzi con un senso positivo della competitività e con molta voglia di fare impresa.
Magari molti si scoraggiano...

R. Ti scoraggi quando non sei convinto al 100% di quello che stai facendo. Forse, però, in Italia accade perché le buone idee non attirano i soldi. Chi ce li ha spesso non li fa circolare con l’ottica di investimento su start-up o simili.
Per questo il lavoro che state facendo voi di BeTheBoss.it con Beesness è fondamentale. E importante che si crei una mentalità in questo senso, che vengano a crearsi gli strumenti necessari per chi vuole intraprendere. E' fondamentale che le persone che hanno talento e passione credano in loro stesse e trovino il modo di emergere. 
In America appena hai un'idea è possibile che qualcuno ti finanzi. Pensiamo anche alle università americane: sono focalizzate ad attrarre i migliori studenti, li seguono fin dalla tenera età. Questo significa creare un sistema orientato all’innovazione: avere cura che i migliori possano esprimersi in modo vincente, generando valore per tutti.