Contratto di franchising e concorrenza sleale

Le molteplici richieste giunte in redazione in merito a problematiche attinenti al rapporto tra franchising e concorrenza sleale generano l'opportunità di qualche breve approfondimento.

I casi segnalati riguardano, in particolare:

-ipotesi di vendita, da parte del franchisee, di beni della concorrenza, o altre attività “scorrette” del franchisee nei confronti del franchisor;

-ipotesi di comportamenti del franchisor, anche se regolarmente presi in considerazione dal contratto, che si pongono ai confini del “lecito”, talora travalicando detto limite, la cui casistica è molto varia.

In relazione ai primi comportamenti, nulla quaestio: il franchisee che venda beni o eroghi servizi in concorrenza con quelli offerti dal franchisor viola, in primo luogo, il contratto. Qualsiasi comportamento commesso in violazione di esso costituisce inadempimento contrattuale, ed il franchisor può in qualsiasi momento richiedere la risoluzione del contratto, il risarcimento del danno, e persino la inibitoria del comportamento illecito, mediante un ricorso d'urgenza al Giudice civile ai sensi dell'art. 700 c.p.c..

I comportamenti del secondo gruppo, invece (quelli del franchisor), sono meno “netti” e di più difficile qualificazione. A titolo esemplificativo, si va dal franchisor che si riserva di commercializzare beni anche nelle zone di esclusiva del franchisee, per poi approfittare in maniera “ipertrofica” di tale facoltà, a quello che vende a terzi a minor costo i medesimi beni erogati al franchisee a prezzi maggiori.
In questi casi la disciplina applicabile, quantomeno astrattamente, potrebbe essere:
-l'art. 2598, n. 3, c.c., ai sensi del quale: “compie atti di concorrenza sleale chiunque si avvale di mezzi non conformi alla correttezza professionale ed idonei a danneggiare l'altrui azienda”;
-l'art. 9, L. 14 giugno 1998, n. 192, in materia di “abuso di dipendenza economica”.
Il combinato disposto delle due norme in commento può risultare idoneo, in taluni casi, a sanzionare quei comportamenti posti in essere dalla parte contrattuale “forte” che profitti di tale posizione in maniera (civilmente) illecita.
In questi casi può essere richiesta al Giudice civile, in via d'urgenza, la inibizione delle pratiche commerciali “scorrette” e degli atti di concorrenza sleale, se accertati. Nel merito, poi (dunque con una causa “ordinaria”) può domandarsi la risoluzione del contratto ed il risarcimento del danno patito in forza del comportamento illecito.

Giovanni Adamo, Fondatore Studio Legale Adamo (www.studiolegaleadamo.it) - Avvocato in Bologna, Catania, Roma e Verona – Cultore della Materia di Diritto Civile nell’università di Bologna