SHANGHAI
Gabriele Battaglia: Come sei arrivata a Shanghai?
Silvia Sartori: Ci sono arrivata per la prima volta come parte di
un master in Studi Asiatici conseguito in Svezia. Tornata in
Europa, ho concluso in fretta gli studi, con non troppo entusiasmo
ho cominciato a lavorare in Italia per una grande azienda,
coltivando sempre il progetto di "rientrare" in Cina al più presto,
non però in veste di studente ma piuttosto di addetto ai lavori. Ad
un certo punto, ho deciso di mollare definitivamente il lavoro in
Italia, mi sono buttata en plein alla ricerca di un''opportunità
che mi riportasse in Cina e cosi dopo un mese sono riatterrata a
Pechino, con uno stage, remunerato, presso una piccola ditta
tedesca. Ho poi usato quell'esperienza come trampolino di lancio
per cercare un impiego a tempo pieno e in pianta stabile e da
questa ricerca è poi conseguita l'assunzione attuale.
G.B.: Quali sono le aziende europee e italiane con cui vieni in
contatto?
S.S.: Attualmente a Shanghai non ci sono molte realtà
manifatturiere. I terreni cominciano a costare, di conseguenza
aumentano anche i prezzi di costruzione e gestione degli impianti.
Le fabbriche si concentrano quindi nel Guandong e nelle Zone di
Sviluppo Speciale. Qui ci sono soprattutto studi di consulenza,
commercialisti, servizi vari.
Quanto alle aziende italiane, nello specifico, direi sono nella
maggior parte dei casi PMI.
G.B.: Quali sono i servizi più richiesti dalle aziende europee in
Cina?
S.S.: La Camera Europea è innanzi tutto un'istituzione di lobby
politica sorta nel 2000 per monitorare il processo di rientro
cinese in seno all'WTO e la progressiva ottemperanza da parte
cinese degli obblighi assunti al tavolo dei negoziati. Ora che si è
conclusa la fase di transizione cinese, la Camera continua a farsi
portavoce delle istanze del business europeo presente in Cina. Di
fatto costituisce un ponte che collega, da un lato, le
raccomandazioni e le riserve degli operatori europei attivi in Cina
e, dall'altro, le autorità cinesi, col fine di sensibilizzare
queste ultime sulle questioni economico-legislative che stanno a
cuore degli europei e con la disponibilità a fornire assistenza e
cooperazione nell'attuale processo di sviluppo del mercato
cinese.
In questa prospettiva, le aziende si rivolgono alla Camera per fare
presenti le difficoltà che riscontrano nell'esercizio quotidiano
delle loro attività in Cina e per costituire gruppi di lobby,
mediati dalla Camera, sufficientemente autorevoli e strutturati da
poter suscitare un'adeguata attenzione da parte delle rispettive
autorità cinesi.
G.B.: Quindi le relazioni con le istituzioni cinesi si svolgono sia
sul piano
commerciale, sia su quello politico. Come vi muovete?
S.S.: I due piani in realtà costituiscono una dimensione unica. La
Camera dispone di un dipartimento di relazioni col governo,
sviluppatosi nel corso degli anni per arrivare ad abbracciare
un'articolazione sempre piu estesa di autorità cinesi, in
corrispondenza all'espansione dell'economia europea in Cina e della
crescita della Camera Europea.
A questo proposito, voglio ricordare che per i cinesi l'etichetta
conta quanto la sostanza. Non è pensabile costruire relazioni
commerciali stabili in breve tempo, questo deve essere capito anche
dai nostri rappresentanti politici.
G.B.: Infatti, spesso si dice che l'imprenditoria italiana in Cina
sia virtuosa ma che
Non abbia alle spalle un "sistema" che la promuove. Tu che idea ti
sei
fatta?
S.S.: Questo luogo comune dell'imprenditoria "buona" ma orfana di
un sistema è un po' da sfatare.
E' vero, la politica italiana è arrivata con molto ritardo in Cina
e tutt'ora non si capisce bene come si stia muovendo. Ciò
nonostante, anche le imprese molto spesso chiedono "protezioni"
senza fare investimenti in ricerca e sviluppo. A volte, qui
arrivano aziende italiane che non hanno fatto neanche uno studio di
fattibilità serio.
Molti pensano ancora che la Cina sia il luogo dove delocalizzare
per ridurre i costi o fare posizionamento in vista di guadagni
futuri. Ma questa fase è finita.
Il costo del lavoro comincia a crescere anche qui, tant'è che le
stesse imprese cinesi cominciano a delocalizzare, per esempio in
Vietnam. Inoltre il tentativo di posizionarsi funziona ormai solo
con i beni di lusso, che adesso non producono ancora profitti ma
che in prospettiva avranno un ricchissimo mercato. Per gli altri
prodotti è già tardi, altri Paesi sono arrivati prima di noi.
Il risultato di questa impreparazione è che, una volta qui, molti
imprenditori si trasformano in sfruttatori del lavoro -- non solo
cinese, ma anche italiano -- alla stregua di quei nuovi capitani
d'impresa locali che poi magari criticano. Infatti, anche a un
giovane italiano, molto spesso conviene lavorare per imprese
straniere, qui in Cina.
Certo, come al solito c'è l'italianissima arte di arrangiarsi, per
cui c'è gente che è qui da venti, trent'anni e che, tra alti e
bassi, ha finalmente capito come fare business in questo Paese.
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G.B.: Puoi fare qualche esempio di questa mancanza di
strategia?
S.S.: Prendiamo la tutela del "made in Italy". L'approccio è spesso
molto provinciale: ci si aspetta che lo Stato offra delle tutele,
ma alcuni non si preoccupano neppure di registrare marchi e
brevetti qui, in Cina. Cosa che, ovviamente, ha anche dei costi
Poi, ovviamente, ci sono le carenze di carattere politico e
burocratico.
Gli studenti cinesi sono un patrimonio. Quasi tutti vogliono andare
a studiare o a lavorare in America. Io spesso faccio loro presente
che esiste anche l'Europa e loro cosa rispondono? Che ci
andrebbero, ma non riescono a ottenere i permessi. Ebbene,
l'Italia, nello specifico, crea ancora più ostacoli della media
degli altri Paesi europei.
G.B.: Ribaltiamo la prospettiva: dalla tua posizione privilegiata,
sapresti indicare quali sono le posizioni aperte per chi intenda
tentare l'avventura lavorativa in
Cina?
S.S.: È difficile dare una risposta che non sia generica o vaga
perchè molto dipende dai profili, dalle competenze e dalle
aspettative di quanti facciano qualche pensiero su un possibile
approdo in Cina. È vero, infatti, che la Cina si sta aprendo e con
questo offre un ventaglio ampissimo di opportunità, ma questo non
significa che faccia al caso di tutti e che accetti qualsiasi
profilo. Molto poi dipende dall'angolo di Cina in cui si atterra,
poichè le richieste del mercato variano a seconda della zona
geografica cinese.
Quanto vedo a Shanghai, ad esempio, è un crescente margine di
opportunità per laureati in legge o aspiranti commercialisti. In
altri termini, è abbastanza semplicistico e approssimativo vedere
la Cina come un territorio di esplorazione solo per imprenditori o
sinologi. C'è un bisogno crescente, "out there", di professionisti
in discipline specifiche che sono quelle che poi rendono possibile
l'operatività quotidiana delle attività commerciali in senso
stretto.
Gabriele Battaglia