Italia compra USA: Come sopravvivono (e vincono) le imprese del made in Italy a quota 1,50

Data

nov 23, 2007

Italia compra Usa

Il minidollaro spinge le aziende. Scatta la corsa agli acquisti per imprese e turisti

MILANO - Avreste mai detto che il palazzo al 660 di Madison Avenue a New York — quello in cui si trova anche il paradiso dei regalini natalizi battuto dagli italiani, Barney's — è proprio di un italiano? O che quando indossate un paio di aggressivi e americanissimi occhiali Oakley oppure ordinate la vodka d'Oltreoceano più cool del momento, la X-Rated, state finanziando l'economia italiana? È la potenza del minidollaro.

Un po' è come fare un giro negli Stati Uniti e approfittarne per acquistare l'iPod nano da 8 giga a 199 dollari invece di 199 euro, con un risparmio pronto cassa di 65 euro. Solo che qui si parla di milioni, in alcuni (rari) casi anche di miliardi di dollari, con relativi risparmi milionari. Ad acquistare, approfittando del dollaro debole, sono state le aziende italiane. E non si tratta solo dell'ennesimo gadget ma, appunto, di interi pezzi di industrie americane o di qualche isolato con grattacielo a Manhattan, sulla Fifth avenue, a due passi dalle memorabili scene di «Colazione da Tiffany». La progressione degli acquisti è sorprendente: il dollaro scende sempre di più verso un cambio considerato irreale fino a poco tempo fa e gli imprenditori italiani fanno a gomitate per lo shopping. Ci sono tutti. C'è Alberto Bombassei che, tra un vertice della Confindustria e un incontro con i sindacati per trattare sul futuro del welfare degli italiani, ha acquistato attraverso la sua Brembo i freni della Hayes Lemmerz solo due settimane fa. C'è la Pirelli di Marco Tronchetti Provera che ha comprato un pacchetto del 12% del capitale della Avanex. Poi c'è Guido Barilla che ha approfittato del momento favorevole e ha aperto un impianto (il secondo) negli Usa ad Avon, nello Stato di New York, per convertire sempre di più gli americani alla pasta. Durante l'estate era stato Luigi Zunino con la Risanamento Spa ad acquistare i 23 piani del 660 di Madison Avenue, nel Plaza district. In piena crisi dei subprime. E solo pochi giorni prima la Campari della famiglia Garavoglia aveva messo il tricolore sopra la X-Rated. La lista potrebbe continuare con la Socotherm di Zeno Soave che ha inaugurato un nuovo impianto a Houston solo due giorni fa. La Bravosolutions, azienda della famiglia Pesenti, che ha acquistato Verticalnet. La Interpump che ha rilevato per 62 milioni l'80% della Nbl. La Tenaris, azienda italo-argentina dei Rocca, che ha investito 2,2 miliardi in Hydril. L'Ifil della famiglia Agnelli che ha preso il 67,5% della storica Cushman. E altre.

Ma non solo: la lista è anche destinata ad allungarsi. Per esempio con i lavori che l'imprenditore italiano Davide Bizzi sta iniziando al 400 della Fifth Avenue con la sua Bi&Di Real Estate, società partecipata anche dalla Rdm Realty di Giuseppe Garofano. Perché è evidente che se per un verso i prodotti del made in Italy sono sfavoriti dal cambio (costano di più per i consumatori extraeuro) è altrettanto evidente che chi ha i soldi in cassa in questo momento ne può approfittare per aggiungere qualche prestigioso pezzo d'America oltre a quelli che già abbiamo come le camicie Brooks Brothers. La Luxottica della famiglia Del Vecchio, che da decenni ha conquistato il mercato Usa, ha colto l'attimo forse fuggente per acquistare alla fine di giugno per 2,1 miliardi di dollari gli Oakley. Qualche conticino, calcolatrice alla mano. Allo stato attuale, arrotondando, ci vogliono 1,5 dollari per avere un euro, il che vuol dire che per un europeo comprare un dollaro costa solo 0,66 cent. Dunque, grazie alla magia finanziaria dei cambi, per comprare un'azienda da un miliardo di dollari che solo un anno fa sarebbe costata 800 milioni di euro ora ce ne vogliono (solo!) 660. «Produrre sul posto — spiega Alberto Bombassei — è un modo per tutelarsi dal rischio di un cambio che rende meno competitive le nostre merci. Per noi l'acquisizione è un passaggio per essere ulteriormente presenti nel primo mercato al mondo dell'automobile, cioè quello americano». Mentre per Andrea Guerra non è nemmeno scontato che il minidollaro sia un freno per l'utile. «Io ricordo sempre — dice — che quando il dollaro era a 0,90 avevamo un utile che era circa i 2/3 di quello di oggi. Siamo riusciti a trovare le soluzioni, le idee per continuare a crescere, per avere una redditività più alta anche con il dollaro così come è oggi. Ancora adesso, nonostante la debolezza del dollaro (che frena l'export del made in Italy, ndr), credo che gli Stati Uniti rappresentino per le aziende italiane una opportunità». Infine, tra chi consiglia agli italiani di investire c'è anche Bob Kunze-Concewitz, amministratore delegato del gruppo Campari: «Certamente la debolezza del dollaro ci aiuta ulteriormente nel finanziamento delle operazioni in un mercato cruciale come gli Stati Uniti».

Massimo Sideri
23 novembre 2007

http://www.corriere.it/economia/07_novembre_23/italia_usa_dollaro_6b5bb26e-998c-11dc-aff3-0003ba99c53b.shtml