Parte 2: ASPETTATIVE DI GUADAGNO E BUSINESS PLAN NEL CONTRATTO DI FRANCHISING

Data

feb 08, 2011

Ci occupiamo oggi del momento squisitamente preparatorio del franchising network da parte dell'affiliante. In particolare, soprattutto nel contesto economico generatosi negli ultimi anni, assistiamo sovente all'offerta, da parte del franchisor (e conseguentemente anche da parte dei franchisee), di una pluralità di servizi al pubblico. L' “idea” commerciale, molto efficace nella pratica, è evidentemente quella di fidelizzare il cliente evitando nel contempo di “parcellizzarne” le esigenze, che potrebbero disperdersi verso erogatori diversi.

Tale compenetrazione di attività impone, tuttavia, la impostazione del network secondo criteri di massima prudenzialità. Riteniamo infatti che la fuoriuscita dall'ambito del core business di una derterminata impresa vada giuridicamente gestita nella maniera più rigorosa possibile, evitando, in tal modo, la creazione di eventuali “talloni d'achille” suscettibili di venire sottoposti a censura, tanto da parte di eventuali affiliati, quanto da parte dei concorrenti, quanto, ancora, da parte di terzi.

Un esempio ricorrente nella pratica commerciale si rinviene nel settore immobiliare. Società nate come dedicate specificamente al trading immobiliare si determinano ad una espansione del proprio core business verso il franchising e, talora, anche alla mediazione creditizia.

In tali casi rimangono fermi, in primo luogo, tutti i “punti fermi” dei quali abbiamo già diffusamente parlato negli articoli precedenti. Un'impresa che intende avviare un franchising network connotato da caratteri di “serietà”  ha l'onere di effettuare investimenti rilevanti, in primo luogo nel settore strettamente imprenditoriale, poi, ancora, in quello della consulenza (giuridica ed economico / commerciale), e infine, ancora in quello della pubblicità (al fine di creare un marchio “appetibile”). I franchising networks allestiti “al risparmio”, infatti, per esperienza giudiziaria, salvo improbabili colpi di fortuna, creano costi, non ricavi, in primo luogo per l'affiliante.

Come in tutti i franchising networks occorrerà quindi sperimentare l'attività nel punto vendita “pilota”, elaborare i business plans (possibilmente con criteri di prudenzialità), “costruire” una contrattualistica “blindata”, ed effettuare le doverose attività promozionali a sostegno del marchio.

Le cose si complicano, nel caso esposto in precedenza, qualora l'attività abbia ad oggetto anche professionalità sottoposte ad autorizzazioni specifiche (ad esempio, appunto, la mediazione creditizia).

In quel caso, alla luce dei rischi, anche imprenditoriali, che la specifica tipologia di attività comporta, occorrerà che l'aspirante franchisor, in primo luogo, sia in possesso di tutte le autorizzazioni prescritte (e che tale attività faccia ovviamente parte anche dell'oggetto sociale). Nonché, in ogni caso, che di tali caratteristiche siano compartecipi anche gli aspiranti franchisees.

 

Giovanni Adamo, Fondatore Studio Legale Adamo (www.studiolegaleadamo.it) - Avvocato in Bologna – Cultore della Materia di Diritto Civile nell’università di Bologna