Il marchio altrui nel keyword advertising

Marella Naj Oleari

Data

mag 08, 2013

La continua evoluzione dei sistemi di promozione di prodotti e servizi su Internet pone nuovi problemi in relazione all’uso dei marchi e, in particolare, dei marchi altrui. Si pensi ai motori di ricerca. Esiste un sistema di pubblicità molto diffuso in cui i motori di ricerca come Google offrono la possibilità di creare link sponsorizzati  dei prodotti e dei servizi al fine di mostrarli in posizione privilegiata allorchè venga effettuata una particolare ricerca. Così, ad esempio, se l’utente digita le parole “orologio uomo”, Google fornirà accanto ai risultati della ricerca anche alcuni annunci pubblicitari, per i quali l’inserzionista paga un corrispettivo. In Google questo servizio di pubblicità si chiama AdWords e consente, mediante la scelta di parole chiave (keywords) di far apparire la propria inserzione come “link sponsorizzato” ogniqualvolta l’utente digita nella stringa di ricerca quella determinata parola chiave. 

Dal punto di vista dei marchi, se le parole che interessano all’inserzionista sono di uso comune, non sorgono particolari problemi. Lo stesso vale se le keywords corrispondono al marchio o ad altri segni distintivi di titolarità dell’inserzionista (es. la sua ragione sociale). Può accadere, tuttavia, che l’azienda abbia interesse ad usare il marchio di un terzo, perché, per esempio, ne rivende i prodotti, è un suo concessionario o un franchisee. O, magari, è un concorrente che desidera pubblicizzare un prodotto analogo e sostitutivo. Ebbene in questi casi, è consentito al titolare del marchio di opporsi all’uso dello stesso come keyword da parte di un terzo non autorizzato? La risposta non è univoca e dipende dal caso specifico, ma il fatto che il marchio altrui non compaia nel testo dell’annuncio, non costituisce di per sé una causa di esclusione della contraffazione. Nelle sue policy, Google precisa che “non verifica o limita l’uso di termini registrati come marchi nelle parole chiave, anche se viene ricevuto un reclamo relativo a un marchio”. Ciò non significa, naturalmente, che l’uso del marchio altrui nell’ambito degli AdWords di Google sia lecito, ma solo che quest’ultima società non intende svolgere alcun ruolo attivo nella scelta e nella selezione delle parole chiave da parte degli inserzionisti. 

Per Google, avvalorare la natura meramente tecnica del suo servizio di posizionamento, serve a rafforzare la possibilità che, in caso di violazioni di marchio, la sua responsabilità venga esclusa ai sensi di quanto previsto dalla Direttiva sul Commercio Elettronico. E infatti, nelle condizioni generali di contratto relative al servizio Ad-Words, Google specifica che gli inserzionisti sono responsabili per tutte le parole chiave e che debbono garantire di non violare i diritti di proprietà intellettuale di soggetti terzi come si evince dai “Termini e condizioni per gli annunci pubblicitari” di Google (https://adwords.google.com/select/tsandcsfinder?country=IT). 

Per la giurisprudenza comunitaria, l’uso del marchio altrui come keyword per servizi di posizionamento di Google può costituire violazione di marchio, e dunque contraffazione, nonché atto di concorrenza sleale. In particolare, sussiste violazione quando l’annuncio non consente o consente solo difficilmente all’utente Internet “normalmente informato” e “ragionevolmente attento” di sapere se i prodotti o i servizi cui l’annuncio si riferisce provengano da un terzo o piuttosto dal titolare del marchio o da un’impresa economicamente collegata a quest’ultimo (Casi Google France v. Louis Vuitton, cause C-236/08 e C-238/08; Portakabin C-558/08, Interflora vs. Marks & Spencer, causa C-323-09). Occorre dunque verificare caso per caso il modo in cui l’annuncio è presentato e valutare per esempio, se l’annuncio appare subito dopo l’inserimento del marchio quale termine di ricerca, se l’annuncio e il marchio del terzo appaiano in contemporanea nella stessa pagina, così da creare confusione nell’utente; se l’annuncio sia talmente vago da non consentire all’utente Internet di comprendere se l’inserzionista sia o meno un terzo rispetto al titolare del marchio (e non piuttosto un suo distributore autorizzato, licenziatario, franchisee, etc.). 

Nel caso Interflora v. Marks & Spencer (C-323/09), la Corte ha precisato che la contraffazione del marchio potrebbe sussistere qualora l’annuncio di M&S (che aveva  usato quale keyword Interflora per posizionare un annuncio di consegna di fiori a domicilio, senza tuttavia riprodurre il marchio Interflora nel testo dell’annuncio) inducesse erroneamente gli utenti Internet a ritenere che il servizio di fiori a domicilio proposto da M&S faccia parte della rete commerciale di Interflora, poiché M&S non fa parte di tale rete. Inoltre, anche quand’anche l’utente Internet fosse in grado di comprendere l’esatta origine dei prodotti e dei servizi pubblicizzati nell’annuncio, potrebbe comunque sussistere una violazione di marchio se l’uso da parte del terzo impedisse al legittimo titolare di acquisire o mantenere una reputazione idonea ad attirare i consumatori e a renderli fedeli. Se poi il marchio, come nel caso Interflora, gode di notorietà, il titolare del marchio ha diritto di vietare al concorrente di farsi pubblicità a partire da una keyword corrispondente a tale marchio qualora in questo modo il concorrente tragga indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio, oppure arrechi pregiudizio a detto carattere distintivo o notorietà. Come si vede, dunque, sono molteplici i profili di possibile violazione che il giudice nazionale è tenuto a considerare allorchè debba trattare un caso di uso di marchio altrui come AdWords di Google o di un altro motore di ricerca. 

In Italia, i giudici hanno già avuto modo di esaminare alcuni casi e di ritenere illecito l’uso come keywords di marchi altrui sia che esso comparisse nel testo degli annunci (Trib. Milano 11 Marzo 2009, Trib. Milano 27 Settembre 2010, Trib. Milano 10 Ottobre 2010, Trib. Milano 23 Novembre 2012) sia che esso non comparisse nel testo dell’annuncio (Trib. Bologna 24 Maggio 2011). 

In conclusione, quindi, come comportarsi in caso di utilizzazione senza consenso del proprio marchio da parte di terzi? Verificata la sussistenza nel caso specifico della violazione di una o più delle funzioni del marchio, può essere utile inviare una diffida al terzo intimandogli la cessazione del comportamento illecito. Nella mia esperienza, l’invio di una diffida stragiudiziale induce spesso il concorrente a cessare spontaneamente l’utilizzazione del marchio. Nel frattempo, è possibile inviare un reclamo attraverso i servizi di segnalazione che i motori di ricerca mettono a disposizione degli utenti. Google, ad esempio, offre un servizio che prevede la compilazione e l’invio di un modulo si reclamo. Qualora queste iniziative di autotutela non raggiungessero gli effetti desiderati, occorrerà necessariamente rivolgersi all’autorità giudiziaria. 

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