L’Europa scatena la guerra delle poste

Data

set 22, 2008

In tutta Europa i monopolisti dei vari paesi si stanno preparando al big bang della liberalizzazione del 2011. Alcune sono state già privatizzate, in parte o totalmente. Altre sono in ritardo. Ma tutte affilano le armi e si preparano ad affrontare il mercato

LUCA IEZZI

La rivoluzione sarà consegnata in tempo. Quello che appare chiaro è che il primo gennaio 2011, momento in cui in Europa il mercato della corrispondenza sarà completamente libero, si assisterà ad una partenza lanciata, dove tutti gli ex monopolisti statali avranno già iniziato a occupare la posizione che vogliono mantenere nel nuovo scenario.
La Commissione europea è convinta che il servizio postale vero e proprio migliorerà sensibilmente: per dimostrarlo porta i casi di Gran Bretagna, Svezia e Finlandia dove i "postini in concorrenza" sono già una realtà. L’effetto complessivo di quest’apertura si annuncia ben più grande perché in vista del 2011 le aziende hanno reagito rafforzando altri tipi di servizi che ora rappresentano la vera fonte di redditività. Piuttosto che ingaggiare con il gestore nazionale delle lettere una guerra frontale saranno proprio questi business, paralleli o correlati alla consegna della corrispondenza, l’arma prescelta per sbarcare all’estero. Una trasformazione già evidente nei mercati interni: italiani e francesi sono fortissimi nei servizi finanziari tanto da far meglio delle banche stesse, tedeschi e olandesi sono leader continentali nella consegna dei pacchi con i marchi Dhl e Tnt. La Royal Mail inglese, dopo un doloroso ridimensionamento, è diventata una società che offre i servizi più vari (vendita di prodotti, assicurazioni, accessi Internet) puntando sul suo network capillare. Ma se per i grandi è tempo di conquista, per i piccoli è a rischio la sopravvivenza: Post Danmark e la svedese Posten ad aprile hanno sottoscritto una lettera d’intenti che dovrebbe portarli alla fusione entro la fine del 2008. In Belgio le poste hanno scorporato l’attività dei libretti di risparmio vendendola al gruppo creditizio Fortis.
Quello verso il mercato integrato non sarà però un cammino privo di ostacoli: sono forti i timori di un’invasione del proprio mercato e le accuse di "liberalizzazione asimmetriche" sono già numerose. Come è già accaduto per l’elettricità o le autostrade, alcuni governi sfrutteranno le aperture del mercato altrui mantenendo però alte le barriere d’ingresso nei propri confini.
Per evitarlo, secondo gli esperti, sembrano necessari due paletti: da un lato gli Stati dovranno disimpegnarsi dal capitale e dalla gestione in modo da ridurre l’interesse a salvaguardare le vestigia del monopolio; dall’altro dovranno togliere forza alle opposizioni locali che una "Posta" troverà ogni volta che si affaccia oltre confine. Ma soprattutto la funzione di regolatore nel mercato privatizzato dovrà essere al di sopra di ogni sospetto permettendo lo sviluppo di operatori alternativi e l’ingresso dei big stranieri. Su entrambi i punti purtroppo non sembra emergere un atteggiamento coerente tra i governi Ue.
Non mancano gli esempi virtuosi: a Madrid, per esempio, si teme l’arrivo dei tedeschi, visto che Deutsche Post ha chiesto la licenza per il servizio universale. Con un fatturato 200 volte superiore a quello delle locali Correos, DP ha tutte le carte in regola per spazzare via in poco tempo l’attuale monopolista pubblico. Per questo il sindacato Comisiones Obreras ha chiesto al governo di fissare rigidi paletti per contenere l’invasione. Ma l’esecutivo guidato da José Luis Zapatero sembra essere di opinione contraria: se il candidato a entrare nel mercato iberico ha i requisiti fissati dalla legge, non gli sarà opposto nessun ostacolo. Correos cerca nel frattempo di prendere le contromisure compensando il minor flusso di lettere con un maggiore invio di pacchi.
La Germania è il vero epicentro del terremoto. Già dal primo gennaio Deutsche Post non è più monopolista nella corrispondenza in patria. D’altronde lo Stato controlla meno del 50% del capitale e solo una settimana fa la loro "PostBank" è stata venduta alla banca privata Deutsche Bank. Passi necessari e naturali per chi ha scommesso più di ogni altra azienda postale europea su globalizzazione ed espansione all’estero: Dhl da fa concorrenza persino negli Usa ai colossi della spedizione come Ups e FedEx. Grandi ambizioni e grandi rischi: la vendita di 1300 immobili e la chiusura di 700 uffici postali in Germania sono serviti a controbilanciare propri gli scarsi successi negli Usa.
In un contesto del genere, dove ormai impera la logica dell’imprenditoria privata, sorprende che proprio i tedeschi abbiano subito la prima accusa di comportamento protezionistico. Invece La Poste francese, interessata ad acquistare un concorrente tedesco, ha criticato la legge che impone un salario minimo per i lavoratori del settore.
E dire che i francesi si muovono su privatizzazione e liberalizzazione con un decennio di ritardo rispetto ai tedeschi. Solo in vista del 2011 si parla di una quotazione in Borsa del 1020% del capitale, ora interamente in mano pubblica. Le indiscrezioni parlano di una valorizzazione complessiva sarebbe intorno ai 10 miliardi, e i due miliardi che arriverebbero nelle casse del gruppo, probabilmente attraverso una sottoscrizione popolare e verso i dipendenti, serviranno proprio a finanziare l’espansione europea. Nel 2007 La Poste ha realizzato un fatturato di 20,8 miliardi e un utile netto di 943 milioni. I servizi finanziari sono stati limitati fino al 2006, ma adesso può distribuire prestiti e mutui, anche se ancora non può praticare i crediti al consumo.
In tutti i paesi però c’è il rischio di un conflitto sociale importante, visto che la posta è percepita ancora come "settore pubblico". In Francia, Germania, Inghilterra e Italia si teme molto la sparizione degli uffici postali nelle campagne, tradizionalmente unica presenza pubblica di servizio. Le obiezioni di sindacati e "nazionalisti economici" avranno molto peso se lo Stato sentirà di mettere in pericolo il proprio ex monopolista spingendo troppo sull’acceleratore dell’apertura. La necessità di servizi standard su tutto il territorio nazionale e di salvaguardia del costo del lavoro possono essere facilmente manipolate per diventare barriere in grado di scoraggiare nuovi concorrenti.
Il problema si pone anche in Italia, dove l’ad Massimo Sarmi (vedi intervista), ricorda come l’argomento privatizzazione non sia nell’agenda di questo governo. Solo se Poste italiane non si sentirà minacciata proprio nei suoi punti deboli, come la consegna della corrispondenza, la concorrenza potrà crescere anche in Italia a vantaggio degli utenti. «Secondo me dice Ugo Arrigo del Dipartimento di Economia Politica dell'Università Milano Bicocca servirebbe un’alleanza strategica con un grande operatore internazionale forte nei recapiti». Un socio europeo peraltro potrebbe essere il tramite per una crescita estera e permettere l’esportazione delle eccellenze di Poste, specie nella finanza e nei sistemi di pagamento, oltre le Alpi. Ma non sembra proprio all’ordine del giorno.

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