Il repulisti dei mercati

Data

mar 17, 2008

Forse non tutti sanno che il più grande esperto mondiale di crisi finanziarie è il signor Ben Bernanke, il capo della Federal Reserve, cioè della banca centrale americana, dove ha preso il posto del “mago” Alan Greenspan. Sulle crisi ha fatto studi, simulazioni, ha pubblicato molte cose, e è appunto considera­to l’esperto numero uno. Ora però deve mettere in pratica quello che sa. Che sia o meno uno scherzo del destino il fatto che si trovi proprio lui, oggi, su quella poltrona, da cui si decide tutto e da cui tutto dipende, poco importa.

Quello che importa è che, a valle della crisi della Bear Sterns, fino a poche settimane fa una delle banche considerate più innovative del mondo, quinta investment bank americana, può succedere di tutto. Ci può essere infatti un effetto domino su altre banche che hanno prestato soldi alla Bear Sterns stessa, con un finale da incubo. Ma ci può anche essere che un intervento della Federal Reserve che dia il segnale che nessuno può "saltare". Che tutto si sistema o si sistemerà. E che quindi tranquillizzi tutti, congelando sul nascere una crisi a effetto domino o una crisi globale.

Certo è che la situazione è molto difficile. Da anni si segnala­vano le bolle sui derivati, sui prodotti strutturati e sulle cartolarizzazioni (obbligazioni dietro le quali stavano debiti o affari dubbi) che stavano invadendo il mondo. Spesso si è evocato l'anatema di Warren Buffett (l’oracolo di Omaha, uno degli uomini più ricchi del mondo e uno dei finanzieri più abili) sul fatto che i derivati erano (e sono) una bomba atomica che ci può sommergere. Però fino a poche settimane fa nulla era successo. Banche di tutto il mondo, Citygroup (la più grande) in primis, hanno continuato a costituire veicoli fuori bilancio con leve (cioè debiti) mostruose, crediti di ogni tipo e genere venivano “impacchettati” e cartolarizzati per offrire agli investitori rendimenti più attraenti. E, soprattutto, le società di rating avallavano regolarmente tutta questa carta regalando dei "tripla A" (giudizio di grande affidabilità) a cose a dir poco impresentabili. Chissà se qualcuno deciderà mai di chiedere conto a banchieri ormai comunque plurimilionari a livello perso­na­le o a analisti improvvisati che cosa avessero in mente quando hanno attivato questa macchina infernale.

Ma anche questo non è cosi rilevante, oggi. La questione è che lunedì mattina qualunque banca al mondo dovrà verificare più attentamente le proprie controparti, perché di situazioni come quella di Bear Sterns ce ne possono essere molte. Ogni banca, cioè, dovrà diffidare al massimo della banca che sta sull’altro lato della strada, perché potrebbe essere un’altra Bear Sterns. Se non altro perché quasi tutte le banche hanno una quantità di crediti ormai ad alto rischio superiore al loro stesso patrimonio. E se la valanga si ingrossa potrebbero non bastare più quei 600 miliardi di dollari di svalutazioni potenziali che già da mesi sono considerati il limite a cui si sta arrivando. Contro i neanche 200 miliardi che sono già state dichiarati.

Bernanke sta reagendo e reagirà. E forse si può stare relativamente tranquilli. I mezzi ci sono. Le spalle della Federal Reserve sono grandi (si usa dire che la Fed, se vuole, “può comprare tutto”, cioè tutti i bidoni). Esiste ancora una liquidità vera (perché non tutti si erano fatti incantare dalle cartolariz­zazioni) e i fondi sovrani (quelli degli stati “emergen­ti”) sono pronti ad intervenire.

Si ha l’impressione, insomma, che la crisi sia ormai sistemica ma si ritiene anche che non sarà la fine del mondo. Sarà - ed è già - la fine di tanti hedge funds troppo disinvolti, di tanti debiti basati su poco o su niente addirittura, di tanto “private equity” eccessivamente aggressivo (il default di alcuni fondi immobiliari di Carlyle per 16 miliardi di dollari è una "botta" impressionante per chi li aveva finanziati) e di tutto quell'at­teg­giamento super permissivo - a tutti i livelli - che ha caratterizzato il periodo 2002-2007. Non finirà il mondo, ma molto probabilmente a partire da lunedì finirà la finanza creativa e la grande festa delle banche che hanno fatto i miliardi (di dollari) sostanzialmente vendendo semplici pezzi di carta agli investitori e ai risparmiatori.

Una ripulita sana, pertanto, ma dolorosissima. Anche perché sono le imprese a dover avere i soldi per investire e svilup­parsi, non le speculazioni di tutti, di troppi (incluso un inconsapevole retail sempre indifeso) che dagli immobili alle commodities, dal dollaro ai titoli azionari ed obbligazionari, hanno condizionato negativamente i mercati finanziari ed hanno creato ricchezze di fatto inesistenti. Ed impossibili.

Fra un po’, comunque, passata la bufera, i più svelti cominceranno a comprare. Anche perché l'economia mondiale nel 2008 crescerà del 4 per cento, forse di più, per cui la crisi è veramente più finanziaria che altro. Gli utili del 2008 nella maggioranza dei settori saranno ancora buoni e in aprile già si vedrà che il primo trimestre non sarà stato brutto.

Un po' in rallentamento, insomma, ma nulla di più. La vera incognita a questo punto è sul 2009. La crisi sarà davvero finita e avremo un sistema meno artificioso, più pulito, oppure l'effetto delle stupidaggini finanziarie di questi anni ci perse­gui­terà ancora?

 

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