Valentino Blasone: il successo di Natuzzi in Cina

Data

lug 06, 2007

MILANO: Al convegno sullo Strategic Global Sourcing, che Business International ha organizzato ieri, 5 luglio, al Gallia di Milano, si è parlato soprattutto delle opportunità che nascono in seno ai mercati dei "low-cost countries", in particolare India e Cina.
Tra gli oratori, chi ha focalizzato l''attenzione su quest'ultimo mercato è stato un manager che, per lavoro, in Cina quasi ci vive: Valentino Blasone, responsabile acquisti materie prime e coordinatore acquisti operations estere del Gruppo Natuzzi.
Per il Gruppo la Cina è stata uno dei tasselli fondamentali nei progetti di internazionalizzazione e delocalizzazione, con ottimi esiti e risultati.
Proprio in virtù del successo ottenuto, abbiamo voluto rivolgere qualche domanda in più a Blasone, per meglio comprendere come il Gruppo Natuzzi abbia ottimizzato le opportunità del mercato cinese.


Nicola Ricciardi: Dottor Blasone, introduciamo l'argomento. Come e quando è stato l'ingresso del Gruppo Natuzzi nel mercato cinese?

Valentino Blasone: La nostra esperienza in Cina dura ormai dalla fine degli anni '90. Abbiamo stabilimenti produttivi dal 2000, e una valida struttura commerciale che opera con successo sul mercato cinese.
Grandi problemi non ne abbiamo incontrati, tuttavia è stato inevitabile confrontarsi con la diversità di gestione, dovuta alla differenze culturali. Differenze che certo non impediscono di fare un buon business. Come Natuzzi, che in Cina ha avuto e sta avendo un'ottima esperienza.

NR: Natuzzi, dopo aver sfondato nel mercato americano, ha sentito la necessità di entrare in quello cinese, anche per produrre. Stava subendo la concorrenza?

VB: La scelta della delocalizzazione in Cina è stata certo anche condizionata dalla concorrenza cinese. E' stata una necessità soprattutto per i prodotti primo prezzo, in cui la concorrenza asiatica in generale era ed è molto forte. Sfidare questa concorrenza partendo dalla produzione italiana non è più sostenibile.

NR: Come è avvenuto il processo di delocalizzazione? Avete avuto bisogno di partnership, di una certa copertura, anche finanziaria?

VB: Diciamo che è stato un percorso progressivo. Siamo partiti con un programma di investimento ben preciso, costante e progressivo nel tempo. Le vere necessità per una buona delocalizzazione in Cina sono tempi ben calcolati e strategie a lungo termine ben definite. Non si può improvvisare.

NR: Ora che vi siete affermati, con due stabilimenti e un'ottima rete commerciale, quali sono le prospettive per il vostro futuro in Cina?

VB: La Cina continua ad essere un mercato fondamentale, sia dal punto di vista della produzione, sia come bacino d'acquisto di materie prime, e anche ovviamente dal punto di vista commerciale.
La nostra espansione nella catena di vendita continua. La Cina rimane fulcro di tutte le nostre strategie. È un mercato fortemente strategico.

NR: Com'è vista oggi la Natuzzi dagli operatori cinesi?

VB: Sicuramente oggi siamo molto più conosciuti di ieri, e la nostra presenza si fa sempre più significativa. Il nostro marchio è di fatto riconosciuto, soprattutto per quanto concerne i valori del Made in Italy e dell'Italian style. Valori di ottima reputazione in Cina.

NR: E qual'è invece il rapporto con il personale interno cinese? Quali sono le vostre politiche per le risorse umane?

VB: Nelle nostre società in Cina la maggior parte degli impiegati è cinese. Non solo a livello di operativi ma anche in ruoli manageriali, con una limitata presenza di personale dell'headquarter per alcune funzioni che sono ritenute particolarmente delicate dal punto di vista gestionale.
Il nostro fine resta quello di mirare ad avere il più possibile personale locale.

NR: Un'ultima domanda, prendendo spunto dai distretti industriali.
Ho notato che molti distretti del centro-nord d'Italia, soprattutto quelli veneti, lombardi e toscani, tendono a fare distretto proprio per avere le risorse necessarie per vendere e delocalizzare, aprendosi la strada al mercato attraverso fiere ed eventi.
La Natuzzi, che nasce all'interno del distretto del mobile di Matera, che rapporto ha con il proprio distretto, in relazione al mercato cinese?

VB: Guardando alla realtà dei fatti questo spirito di distretto di fatto non c'è. Le aziende che hanno de-localizzato all'estero nel campo del mobile lo hanno fatto in modo autonomo, non coordinandosi tra di loro. Chi ha seguito il nostro esempio lo ha fatto più per necessità che per spirito di distretto. Che alla fine rimane solo una realtà geografica.


Mi permetto di spendere una parola in più su questa carenza di "spirito di distretto".
Se è indiscutibile che Natuzzi abbia avuto successo in Cina, è anche vero che la sua formula non è facilmente applicabile alle PMI italiane (cioè alla quasi totalità delle nostre aziende), che non hanno simili dimensioni e capitali.
Se Cina e delocalizzazione sono dimensioni lontane dall'ottica delle piccole-medie imprese è anche in virtù della loro ridotta estensione (spaziale e gestionale).
Allora, forse, agire come distretto potrebbe essere la chiave per acquisire il giusto peso e limitare l'handicap dimensionale. Così da poter entrare nel mercato cinese con un passo più sicuro. E con le spalle meglio coperte.

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