I giornali venderanno di più ma la carta uscirà di scena

Data

dic 02, 2008

Pubblichiamo un estratto della terza di un ciclo di sei conferenze tenute da Rupert Murdoch: è stata trasmessa dalla Abc Radio National domenica 16 novembre, è dedicata al futuro dei giornali e la trascrizione completa, assieme al file audio, sono disponibili nel sito www.abc.net.au / rn / boyerlectures / stories/2008/2397940.htm

Quando si discute di futuro con chi lavora nei giornali, si scopre quasi sempre che troppi di loro pensano che a noi stia a cuore soltanto il giornale in quanto tale. Io adoro i giornali e la sensazione che provo sfogliandoli, tanto quanto chiunque altro, ma ciò di cui ci occupiamo concretamente non è stampare qualcosa su ciò che si produce abbattendo alberi. Ciò di cui ci occupiamo è dare ai nostri lettori un grande giornalismo e una grande capacità di giudizio.
È vero: nei prossimi decenni le versioni stampate di alcuni quotidiani perderanno copie, ma se i giornali forniranno ai lettori notizie attendibili sulle quali i lettori possano fare affidamento, assisteremo a un aumento delle vendite, sulle nostre pagine Web, nei nostri feed Rss, nei messaggi di posta elettronica con i quali recapiteremo notizie su misura per il lettore insieme alla pubblicità e ovviamente sui telefoni cellulari.
In sintesi, noi ci troviamo in una fase di passaggio che da giornali di informazione (news papers) ci porterà a brand di informazione (news brands). In tutta la mia vita lavorativa ho sempre creduto che ci fosse un valore sociale e commerciale concreto nel distribuire notizie accurate in modo economico e tempestivo. In questo secolo, potrà forse cambiare il modo col quale le faremo circolare, ma i potenziali destinatari dei nostri contenuti aumenteranno e si moltiplicheranno a dismisura.
Sono molto scettico nei confronti degli odierni pessimisti per una semplice ragione: ho già sentito moltissime volte le loro sdegnate congetture. Le sfide esistono e sono reali, inutile negarlo: probabilmente non esisterà mai un ufficio senza carta, ma i giovani stanno mettendo su case nelle quali la carta non compare proprio. Le tradizionali forme di ricavo, come le inserzioni pubblicitarie, stanno riducendosi sempre più, esercitando così pressioni non indifferenti sul modello consolidato di lavoro. I giornalisti inoltre devono far fronte a una nuova concorrenza da parte di fonti alternative di notizie e informazioni.
Un tempo era prassi comune che una manciata di direttori di testate potessero decidere che cosa faceva o non faceva notizia. Agivano alla stregua di semidei: se pubblicavano una notizia essa era tale, se la ignoravano niente era accaduto. Oggi i giornalisti stanno perdendo questo potere. Internet, per esempio, fornisce accesso a migliaia di fonti di informazione che si occupano di notizie che un redattore potrebbe anche ignorare. E se non si è soddisfatti delle notizie che si ricevono, si può sempre dar vita a un blog personale e coprire e commentare da soli la notizia che si ha a cuore.
I giornalisti amano pensare di assolvere le funzioni di un "cane da guardia" del potere, ma non sempre hanno risposto bene quando il pubblico li esorta a rendere conto di ciò che riferiscono. Quando Dan Rather ha fatto una trasmissione nella quale ipotizzava che il presidente Bush avesse evitato il servizio militare durante il periodo nel quale era reclutato nella Guardia Nazionale, i blogger subito misero in luce la natura equivoca delle fonti e dei documenti che egli aveva presentato.
Lungi dal celebrare questo tipo di giornalismo popolare, i media dell’establishment reagirono rimanendo sulla difensiva: quando si presentò a Fox News, un dirigente della Cbs attaccò i blogger con una dichiarazione che passerà alla storia per la sua arroganza. Egli disse che "60 Minutes" era un’organizzazione di professionisti e al contrario liquidò i blogger come "tizi che se ne stanno seduti in soggiorno in pigiama a scrivere". Alla fine, però, furono quelli col pigiama a costringere Dan Rather e il suo produttore alle dimissioni.
I lettori vogliono notizie, come e più di prima (…) Il trend digitale che risulta discriminante dal punto di vista dei contenuti è la sempre maggiore raffinatezza della ricerca: già adesso è possibile personalizzare il flusso di notizie, adattandolo al Paese voluto, a una data azienda o a un argomento preciso. Tra un decennio l’offerta sarà ancora più articolata e si sarà in grado di soddisfare le esigenze e gli interessi del singolo.
Dopo tutto una studentessa della Malesia non può avere i medesimi interessi di un dirigente sessantenne di Manhattan, proprio come un ragazzo adolescente non ha i medesimi interessi di sua nonna. La vera sfida consiste nel saper utilizzare il brand di un giornale consentendo al contempo ai lettori di personalizzare le notizie per conto proprio, e quindi recapitargliele nel modo da loro prescelto.
Questo è quanto stiamo cercando in questo momento di fare con il Wall Street Journal, che ha il vantaggio di avere un pubblico di lettori locali molto fedele, di essere una testata nota per la propria qualità e di avere direttori che considerano seriamente i loro lettori e gli interessi di questi ultimi.
Uno dei modi che ci ripromettiamo di utilizzare per sfruttare le opportunità che offre Internet è proporre tre diversi livelli di contenuti. Il primo è quello delle notizie che mettiamo online gratuitamente. Il secondo sarà disponibile per chi si abbonerà al sito del giornale e il terzo sarà un servizio premium, concepito per offrire ai consumatori la possibilità di personalizzare le notizie di tipo finanziario e di analisi finanziaria provenienti da tutto il mondo.
In tutto ciò che facciamo dovremo sempre assicurarci di farlo in modo tale da adeguarci quanto meglio possibile alle preferenze dei nostri lettori in fatto di piattaforma: sulle pagine Web alle quali potranno accedere da casa o lavorando ad alcune invenzioni ancora in evoluzione, come il kindle di Amazon (lettore portatile di giornali ed ebook N.d.R), come pure ad altre piattaforme come telefoni cellulari o blackberry.
In definitiva torniamo a ciò che dicevo all’inizio: al legame di fiducia tra i lettori e il loro giornale. Molte cose sono cambiate da quando misi piede per la prima volta nel 1954 nella redazione dell’Adelaide News. Le tipografie non sono mai state più veloci o più flessibili. Adesso abbiamo computer che ci consentono di impaginare pagine diverse per paesi diversi. Abbiamo una distribuzione molto più rapida. Tuttavia, nulla di tutto ciò avrà implicazioni positive per i giornali se non faremo fronte alla nostra responsabilità primaria: guadagnarci la fiducia e la fedeltà dei nostri lettori.
Non pretendo di avere tutte le risposte: tenendo conto della realtà della tecnologia moderna, questo mio stesso discorso radiofonico potrebbe essere tagliato e digitalmente rimontato in altro modo, potrebbe essere ascoltato tra un giorno, un mese o un decennio intero. E giustamente io potrò essere tenuto a rispondere di quanto detto in eterno, qualora avessi detto qualcosa di sbagliato, e potrei essere anche preso in giro per la mia incapacità a comprendere quanto diverso è diventato questo nostro mondo.
Nondimeno, non credo di sbagliare almeno su un punto: il giornale, o un suo parente elettronico molto stretto, esisterà sempre. Forse non verrà recapitato sulla soglia di casa come ancora oggi accade, ma il rumore che esso fa cadendo sullo zerbino continuerà a riecheggiare in tutta la nostra società e nel nostro mondo.
(Traduzione di Anna Bissanti)

www.repubblica.it