Il punto vendita al centro delle strategie di immagine

Data

apr 23, 2007

Un numero crescente di imprese sta avvertendo in maniera prepotente l’esigenza di disporre di propri punti vendita. Propri o affiliati o in franchising – una differenziazione che interessa ben poco al consumatore e di cui non è il più delle volte a conoscenza ma con il nome della marca che firma in maniera inequivoca l’insegna. La spiegazione più immediata è che, a fronte dell’aumentato potere della distribuzione moderna, l’industria di marca cerchi propri spazi per sottrarsi a condizioni contrattuali sempre più esose. Una interpretazione corretta ma certo non la più importante. Ci vuole una forte motivazione perché gestire un punto vendita è un mestiere differente da produrre. Implica competenze e professionalità diverse, notevoli investimenti che non sempre si riesce ad ammortizzare pur riducendo l’intermediazione commerciale. Realizzando cioè quella che, tecnicamente, si definisce "filiera corta".
Le ragioni sono soprattutto da individuare nel profondo cambiamento di pelle che il punto vendita sta effettuando e nelle nuove valenze strategiche che assume. Già il termine punto vendita, ma anche quello più comprensivo di distribuzione, è riduttivo: indicano la loro funzione ontologica non certo tutto lo spessore dei nuovi significati che la clientela, più o meno consapevolmente, è andata loro attribuendo in questi anni. Lo shopping – al di là degli acquisti di routine, e non sempre anche per questi – sta crescendo di interesse per il consumatore. Non soltanto per individuare la migliore offerta ai prezzi più contenuti – un trend che ha registrato una grande accelerazione in questi anni – che implica un crescente nomadismo tra punti vendita, ma perché lo shopping, per molte merceologie, ha assunto una funzione ludica, evasiva, di tempo libero estremamente coinvolgente. Lo shopping cioè si trasforma in sho(w)pping.
Ai mutati atteggiamenti e comportamenti d’acquisto ha certamente concorso un incisivo cambiamento da parte delle formule più innovative della distribuzione ma anche di quella tradizionale. Che hanno svolto quindi una sorta di funzione maieutica. Creando spazi che, almeno virtualmente perché spesso chi gestisce il punto vendita finisce per sprecare questa opportunità, divengono una attualissima macchina per comunicare. Esistono ormai catene con molte decine di esercizi per cui il solo interpretare in termini sinergici e comunicativi il sistema delle vetrine potrebbe costituire la più efficace delle campagne pubblicitarie. Ma è l’interno del punto vendita con il suo lay out, accoglienza, internal setting, displaystica, illuminazione, musica, odori a divenire – se correttamente interpretato una suggestiva scenografia. Il compito non è più soltanto quello di valorizzare la merce ma di creare dei lebenswelt: i mondi vitali dell’insegna/marca. Perché questa trova, appunto, nel punto vendita il luogo elettivo per narrarsi, per esplicitare i propri valori, il proprio l’universo. Una funzione che, tradizionalmente, era interamente delegata alla pubblicità. Ora l’impresa prende consapevolezza che, nel punto vendita, si può raccontare la marca, i suoi valori, la sua storia, la sua identità con una particolare trasparenza, capacità comunicativa, ricchezza di particolari, efficacia. Succede che l’ingresso nel punto vendita assuma il significato dell’accesso alla casa (nel senso di home) di chi vende e, come accade per un’abitazione, questa renda immediatamente conto dell’identità di chi l’abita. La prossimità fisica genera così anche prossimità emozionale.
Il negozio che diviene concept store, un ipertesto che narra i valori della marca ha ben poco da spartire con i vecchi spazi commerciali. Ma diviene anche piattaforma relazionale riuscendo, nei suoi casi più fortunati, a trasformare la transazione in relazione: non è un gioco di parole ma il vero paradigma per rapportarsi al consumatore da parte dell’impresa nella società post moderna. Una relazione che non si genera soltanto tra insegna e clientela ma che può anche instaurarsi tra gli stessi frequentatori dei punti vendita. Non sempre dando luogo ad un vero rapporto interpersonale pure può divenire qualificante la prossimità ad individui con cui si può condividere uno stile di vita, affinità elettive, un sistema di segni e di simboli. Le nuove tribù del consumo hanno sempre come centro di attrazione e di riferimento un punto vendita. Alcuni di questi – in gergo quelli che si definiscono flagship store – sono dei templi riconosciuti dei valori della marca, alcuni divengono dei veri e propri luoghi di culto.