Associazione in partecipazione: Riforma Fornero

Valerio Pandolfini

Data

ott 24, 2012

Associazione in partecipazione: cosa cambia con la Riforma

La L. n. 92 del 28 giugno 2012 (così detta “Riforma Fornero”), entrata in vigore il 18 luglio scorso, ha profondamente innovato la disciplina dell’associazione in partecipazione. 

La finalità della Riforma è quella di ovviare all’uso distorto ed elusivo delle norme sul lavoro subordinato che di tale contratto è stato spesso fatto negli ultimi anni, talvolta anche da società attive nel franchising (come è recentemente balzato agli onori della cronaca). Frequentemente, infatti, i contratti di associazione in partecipazione sono stati utilizzati in chiave elusiva delle norme sul rapporto di lavoro subordinato, facendo coincidere l'apporto fornito dall'associato con una prestazione di attività lavorativa, magari con la previsione di un guadagno di minima entità. 

Ma vediamo di delineare brevemente le caratteristiche di tale contratto e le novità legislative.

L’associazione in partecipazione, disciplinata dagli artt. 2549 e seguenti del Codice Civile, è il contratto con il quale una parte (associante) attribuisce ad un’altra (associato) il diritto ad una partecipazione agli utili della propria impresa o di uno o più affari determinati, dietro un corrispettivo costituito da un apporto da parte dell’associato. Tale apporto può essere di natura patrimoniale, ma può anche consistere nell’apporto di lavoro, o nell’apporto misto di capitale e lavoro. 

L'associato, salvo patto contrario, concorre alle perdite nella stessa misura in cui partecipa agli utili. In tal caso, però, le perdite che subisce l'associato non possono superare il valore del suo apporto. Qualora la quota degli utili non risulti determinata in sede contrattuale, essa va, comunque, quantificata in proporzione al valore dell' apporto dell' associato rispetto ai valori dell' impresa o dell' affare rispetto al quale è pattuita l'associazione. La titolarità e la conduzione dell'impresa o dell'affare spettano al solo associante, unico legittimato ad intrattenere rapporti con i terzi e ad assumerne la relativa responsabilità. 

Vedi anche: Wikipedia: Associazione in partecipazione

L’art. 86, comma 2, del D.lgs. n. 276/2003 (così detta Riforma Biagi), per evitare un uso distorto di tale contratto, aveva stabilito che in caso di rapporti di associazione in partecipazione resi senza una effettiva partecipazione e adeguate erogazioni a chi lavora, il lavoratore ha diritto ai trattamenti contributivi, economici e normativi stabiliti dalla legge per il lavoratore subordinato svolto nella posizione corrispondente del medesimo settore di attività. 

L’art. 1 comma 28 della Riforma Fornero ha ora previsto che, nell’ipotesi in cui il conferimento dell’associato consista anche in una prestazione di lavoro, il numero degli associati impegnati in una medesima attività non possa essere superiore a tre, indipendentemente dal numero degli associati, tranne il caso in cui gli associati siano legati da rapporto coniugale, di parentela entro il terzo grado o di affinità entro il secondo. In caso di violazione di tale divieto, il rapporto di lavoro con tutti gli associati è considerato, con presunzione assoluta (cioè senza possibilità di prova contraria) come rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.

I contratti in essere alla data di entrata in vigore della Riforma (cioè al 18 luglio 2012), vengono fatti salvi, fino alla loro cessazione, solo se erano stati oggetto di certificazione ai sensi dell’articolo 75 del D.lgs. n. 276/2003, attraverso uno degli organismi abilitati ivi previsti (direzioni del lavoro, enti bilaterali, università). Si presumono inoltre contratti di lavoro subordinato a tempo indeterminato anche i contratti di associazione in partecipazione (sempre limitatamente ai casi in cui ci sia anche un apporto di lavoro) instaurati senza un’effettiva partecipazione dell’associato agli utili dell’impresa o dell’affare, oppure senza consegna del rendiconto previsto dall’art. 2552 del Codice Civile. Stessa sorte spetta anche ai casi in cui il contributo lavorativo dell’associato non sia connotato da competenze teoriche di grado elevato acquisite attraverso significativi percorsi formativi, ovvero da capacità tecnico-pratiche acquisite attraverso rilevanti esperienze maturate nell’esercizio concreto di attività. In tali casi è tuttavia prevista la possibilità di prova contraria da parte dell’associante. Nella prassi, la Riforma avrà un impatto molto rilevante sull’impiego dell’associazione in partecipazione, rischiando di determinarne la pressoché totale estinzione. Ma quel che più grave è che, per evitare il drastico effetto di trasformazione in lavoro subordinato previsto dalla Riforma, molte imprese,  che hanno in essere contratti di associazione in partecipazione con più di 3 associati e non certificati (come spesso accade), hanno immediatamente reagito comunicando agli associati il recesso dal contratto, «giustificato» dall’entrata in vigore della nuova disciplina; con ciò provocando l’inevitabile intervento degli organismi sindacali. Anche in questo caso, dunque, la Riforma Fornero sembra avere provocato un effetto fortemente negativo sul piano dell’occupazione. 

Associazione in partecipazione e Franchising: analogie e differenze

Al di là delle (per molti versi, discutibili) novità introdotte dalla Riforma, è opportuno evidenziare che il contratto di associazione, anche nella sua versione “pura”, nonostante che per alcuni aspetti sia assimilabile al franchising - trattandosi di un contratto anch’esso finalizzato al conseguimento di una unità gestionale, e strutturato in modo bilaterale, indipendentemente dal numero degli associati presenta degli elementi che lo distinguono nettamente da quest’ultimo. 

Anzitutto, infatti, gli affiliati in franchising, a differenza degli associati in partecipazione, non possono in alcun modo (se non indirettamente) partecipare alle perdite del franchisor, attesa la diversità dei loro apporti; del resto, la partecipazione agli utili, che costituisce una delle caratteristiche fondamentali dell’associazione in partecipazione, non può essere assimilata all’utilizzazione da parte del franchisee di alcuni servizi - come ad esempio l’assistenza e la consulenza del franchisor -ricollegabili al vincolo integrativo e collaborativo tra le parti tipico del contratto di franchising. In secondo luogo, e soprattutto, mentre, come si è prima visto, nell’associazione in partecipazione gli effetti giuridici relativi ai rapporti con i terzi ricadono esclusivamente sull’associante (sebbene il relativo rischio patrimoniale di fatto incomba anche sull’associato, sotto forma di mancati utili), nel franchising è - salvo casi del tutto limitati ed eccezionali - soltanto il franchisee che risponde direttamente nei confronti dei terzi, senza che lo stesso franchisee partecipi agli utili del franchisor.