Pubblicità ingannevole e pratiche scorrette nel franchising

Redazione Beesness

Data

set 19, 2012

del Prof. Avv. Aldo Frignani

Come ogni altra attività di impresa anche il franchising deve essere “comunicato” e promosso all’esterno. Secondo i destinatari i messaggi possono così essere divisi: da un lato, la promozione per cercare nuovi affiliati; dall’altro lato, quella rivolta ai clienti finali o consumatori. Mentre quest’ultima potrà essere imputata anche all’affiliato (se è di sua iniziativa o comunque l’ha fatta propria), della prima è responsabile soltanto l’affiliante (perché gli affiliati ancora non ci sono o quelli che ci sono non la determinano). 

Pochi affilianti sanno però che quando preparano le loro schede tecniche, o dépliant di presentazione o ancora predispongono il loro sito, tale attività può essere valutata alla luce delle norme sulla pubblicità ingannevole o sulle pratiche commerciali scorrette. 

Queste norme si trovano nel Codice del Consumo del 6.9.2005 n. 206 agli artt. 18-27 quater dove sono definite le pratiche commerciali ingannevoli (commissive od omissive) e quelle addirittura aggressive. Ciò che può sorprendere è il fatto che l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) applica le norme dettate per la tutela dei consumatori anche agli aspiranti affiliati che molto spesso sono già stati imprenditori (nel campo del commercio al dettaglio o come artigiani) o comunque, essendo desiderosi di aprire una attività commerciale autonoma, sono disponibili ad assumersene i relativi rischi, beninteso con la prospettiva di guadagno. 

Al fine di tutelare l’aspirante affiliato prima che egli stipuli un contratto di affiliazione, la legge n. 129 del 6.5.2004 dispone già tutta una serie di informazioni pre-contrattuali che l’affiliante deve fornire all’aspirante affiliato durante tutte le trattative che porteranno poi alla conclusione del contratto. Per l’AGCM gli obblighi contenuti nella legge sul franchising sono inadeguati perché ritiene che la correttezza, completezza e non ingannevolezza di ogni messaggio promozionale debba essere valutato nel momento in cui parte dal franchisor e raggiunge qualsiasi destinatario (la teoria del c.d. “primo contatto”). Siccome questa posizione assunta dalla AGCM sembra ormai difficilmente mutabile, diventa prudente per tutti gli affilianti prenderne atto, per potere conformare la loro pubblicità e promozione (anche se attraverso semplicemente delle schede tecniche o il proprio sito) alla nuova atmosfera giuridica che si è creata. Spulciando fra le numerose decisioni della AGCM pronunciate dopo l’entrata in vigore della legge sul franchising, incontriamo questi precedenti: 

1. È stata ritenuta pratica scorretta comunicare che si può aprire un punto in franchising “senza i costi ed i problemi di una agenzia di viaggi tradizionale” (caso Dodotour 28.5.2007). 

2. È scorretto conclamare una consolidata esperienza quando invece si è appena partiti con una rete in franchising (caso Area Film 15.11.2007).

3. È ingannevole indicare una cifra come investimento iniziale senza comunicare che è al netto di IVA (caso Free Tur 31.7.2008). 

4. Non è ammesso usare il termine “franchising” senza che la rete abbia gli elementi di questo tipo contrattuale quali richiesti dalla legge 129 (caso IANA 30.10.2008). 

5. È ingannevole un messaggio pubblicitario che dica “rete solida e di grande crescita” oppure “fatturato medio superiore a X” quando invece nel periodo di riferimento il trend era quello di chiusure in crescita e nuove aperture in calo; inoltre, la c.d. “media” del fatturato era raggiunta solo da un quarto del numero degli affiliati (caso Ki Point 30.3.2010). 

6. È scorretto dichiararsi leader di un settore senza poter provare di essere il primo (caso Primacasa 13.5.2010). 

7. Indicare un utile medio annuo, anche entro una forbice, se non si riesce a provare che tale utile medio è stato raggiunto, è ingannevole (caso Shalia Sposa 13.3.2008) 

Dal breve excursus fatto sopra, si possono trarre alcune conclusioni.

In primo luogo, la criticabile posizione dell’AGCM nell’applicare le norme del Codice del Consumo a persone che spesso consumatori non sono; in secondo luogo, pretendere che ogni tipo di informazione al pubblico in generale sia dotato di quella completezza di dettagli che è opportuno e necessario dare solo nel corso di una trattativa seria. La pretesa dell’AGCM sopra indicata, che fa leva sulla teoria del “primo contatto”, da lei interpretata in modo assoluto, senza alcuna considerazione della psicologia decisionale del consumatore, costituisce una estensione surrettizia degli obblighi di informazione preventiva stabiliti nella legge 129, che in tal modo l’AGCM ritiene insufficiente a disciplinare la fase negoziale del franchising. 

Ciò detto, va però osservato che talvolta gli affilianti, soprattutto nella fase dello start up, tendono a esagerare la loro esperienza, il loro successo sul mercato e la loro posizione rispetto ai concorrenti, come pure a far balenare alti e veloci profitti. In tali ipotesi, allora si spiega in parte la severità di cui ha dato prova l’AGCM. 

Alla luce di quanto sopra, i franchisors dovrebbero stare attenti a fare delle comunicazioni pubblicitarie contenenti numeri, a indicare fatturati o utili, se non sono cifre inconfutabili ed esperienze dimostrabili

La casistica sopra riportata è ampiamente riferita e commentata nel cap. XVII del mio libro “Il contratto di franchising (Orientamenti giurisprudenziali prima e dopo la legge 129 del 2004)”, Giuffré, Milano, 2012. 

 

Professor Avv. Aldo Frignani
Frignani Virano e Associati
www.studiofrignani.com

Fonte: Beesness