Ricerca Retail all'estero: conclusioni

Silvio Zannoni

Data

ott 28, 2013

La ricerca conferma la tendenza degli operatori italiani a concentrarsi – vista la situazione di crisi dei consumi in cui versa il mercato interno – sullo sviluppo all’estero, forti della consapevolezza che il retail, rispetto all’industria produttiva, ha il vantaggio di poter dialogare direttamente con il consumatore finale sui diversi mercati di riferimento e fidelizzarlo al proprio brand. 

Una prima evidenza interessante che emerge dalla ricerca è che il 90% dei retailer intervistati e non ancora presenti all’estero sono intenzionati a sbarcare su nuovi mercati nei prossimi tre anni. Un dato decisamente positivo che evidenzia, da un lato, l’avvenuto consolidamento di tali reti in Italia e dall’altro la convinzione che sia giunto il momento per compiere il salto. Ma anche un numero altissimo di retailer già presenti all’estero, pari al 78% dei rispondenti, confida per il prossimo triennio in un futuro commerciale prospero, decisamente in crescita più all’estero che in Italia, dove invece tale percentuale si dimezza al 40,63%. 

E il franchising sembra confermarsi come una potente leva per accelerare il processo di internazionalizzazione dei sistemi commerciali, senza rinunciare alla creazione di un sistema integrato e controllabile dei partner locali; la formula è particolarmente apprezzata dagli operatori anche perché, come ben sappiamo, permette di contenere gli investimenti legati allo sviluppo della rete.

Merita un’ulteriore riflessione l’evidenza che emerge sui Paesi di destinazione su cui i retailer dicono di volersi concentrare per il prossimo triennio. Non stupisce l’interesse per alcuni Paesi in crescita quali Cina, Emirati Arabi e Russia; più sorprendente forse il forte interesse che si riscontra per Paesi europei quali U.K., Germania e Francia, in un momento in cui tutta l’attenzione dei media e delle istituzioni competenti sembra incentrata su destinazioni più lontane. 

L’elemento che accomuna tutti i Paesi di destinazione, più che l’area geografica di appartenenza, è che si tratta di mercati grandi in cui il rischio politico ed economico è ridotto e la domanda da parte della classe media consistente o comunque in crescita. La scelta è facilmente comprensibile se si pensa che, a differenza di quanto avviene per il lusso dove si tratta di aprire pochi negozi monomarca in prime location, per le grandi catene distributive di fascia media – quelle che utilizzano prevalentemente la formula franchising – l’investimento è decisamente più impegnativo e l’obiettivo è la capillarità della rete sul territorio.

L’auspicio è che anche il retail made in Italy possa contare su un supporto concreto e strumenti dedicati per internazionalizzarsi, proprio come lo è stato ed è ancora oggi per l’industria produttiva italiana. Con i giusti presupposti, il franchising sarà un valido aiuto per portare più rapidamente i brand italiani nel mondo, prima che altri riempiano gli spazi di mercato ancora disponibili.