Le risposte dei Retailer non ancora all'estero

Silvio Zannoni

Data

ott 28, 2013

Il punto di vista dei Retailer non presenti all’estero

Media del numero di punti vendita per azienda in Italia

Per tale tipologia di operatori la priorità è lo sviluppo in franchising, con un netto sbilanciamento pari al oltre il 60%, verso tale formula di business. Il totale dei rispondenti conta, infatti, su 2.643 punti vendita in affiliazione contro 586 diretti.

La performance attesa in Italia per il triennio 2013-2015

L’80% del campione interpellato si è espresso in modo positivo sulle previsioni per il prossimo triennio. Quasi il 18% prevede poi una situazione sostanzialmente stabile e solo il 2,22% dei retailer pensa che le performance future siano negative.

Il sentiment dei retailer sull’adeguatezza della propria struttura organizzativa

La somma in percentuale di chi pensa di essere ‘molto’ o ‘abbastanza pronto’ dal punto di vista organizzativo per sbarcare all’estero si attesta a quasi il 67%. Il 28,89% dei rispondenti è poco convinto di avere una struttura organizzativamente pronta per fare il salto.

Le previsioni di aperture all’estero per il triennio 2013-2015

La percentuale dei retailer intenzionati a sbarcare sui mercati internazionali nei prossimi tre anni sfiora il 90%. Un dato decisamente positivo che evidenzia, da un lato, l’avvenuto consolidamento di tali reti in Italia, e dall’altro la convinzione, sostenuta evidentemente da buoni capitali di base, che sia giunto il momento per compiere il salto. Un numero esiguo, pari all’11% ritiene, invece, non adatto il momento per orientarsi verso un progetto che, comunque, si presenta a tutti gli effetti oneroso e impegnativo.

Il livello di priorità strategica per lo sviluppo all’estero nel triennio 2013-1015

Su questo punto il campione dei rispondenti è fortemente motivato e determinato. Accorpando infatti la percentuale di chi ritiene ‘molto rilevante’ e ‘abbastanza rilevante’ il grado di priorità strategica per lo sbarco all’estero, si ottiene un rilevante 85,71% contro un 8,57% per cui tale salto è poco rilevante. Si tratta, in pratica, della quasi totalità dei rispondenti che, privi attualmente di una rete di vendita all’estero, ritiene fondamentale potersi espandere oltre i confini italiani.

I Continenti prioritari per lo sviluppo delle reti

È ancora il Vecchio Continente quello dove si concentra l’attenzione del 91% del totale rispondenti, che lo ritengono molto rilevante per lo sviluppo delle proprie reti. Seguono le due Americhe con rispettivamente oltre il 65% delle preferenze quella del Nord e il 64% quella del Sud. A breve distanza l’Asia con il 54%. In netto distacco Africa (33,34%) e Oceania (27,78%), evidentemente percepite come continenti ancora in via di sviluppo dal punto di vista commerciale e quindi non ancora particolarmente strategici.

I Paesi di maggiore interesse per lo sviluppo nel triennio 2013-2015

La Germania con il 54,29% delle preferenze si aggiudica la palma del Paese dove i retailer vorrebbero iniziare a lanciare il proprio business. Del resto la nazione tedesca con 960 franchise brand è la seconda in Europa dopo la Francia per numero di esercizi commerciali. Si può, dunque, ben capire come i retailer manifestino chiara l’intenzione di sbarcare in un Paese politicamente ed economicamente solido, dove l’indice di fiducia è salito a 107,7 punti dopo la rielezione della Merkel e che può di conseguenza offrire maggiori garanzie anche in termini commerciali. La Francia si piazza al secondo posto nel ranking internazionale con quasi il 47% delle preferenze. Da notare che si tratta anche dei due Paesi che secondo le rilevazioni EFF sono anche i primi per numero di franchise brand. Inghilterra e Spagna sono a pari merito con il 40% di preferenze.
Segue la Russia con il 37,1% delle preferenze e la Repubblica Ceca con il 20%. Oltreoceano gli Stati Uniti fanno sempre la loro parte e sono indicati da oltre il 34% del campione, a pari merito con il Brasile. Ricordiamo, del resto, che il Paese a stelle e strisce è la culla del franchising ed è culturalmente un terreno fertile per lo sviluppo di catene con questa formula; basti pensare che negli USA c’è un negozio in franchising ogni 389 abitanti contro l’uno ogni 1.125 abitanti dell’Italia. A grandissima distanza percentuale troviamo poi Bulgaria ed Emirati Arabi, entrambi indicati dal 14,29% del campione interpellato. Una nota di merito va, infine, alla Turchia che, pur non facendo parte dell’Europa a 27, sfoggia ben 1.640 franchise brand e viene indicata dall’11,43% dei rispondenti.

I fattori determinanti per la scelta dei Paesi di destinazione

Può sembrare scontato, ma il motore che spinge i retailer a scegliere un Paese piuttosto che un altro è nel 68,57% dei casi determinato dalla crescita dei consumi dovuta principalmente allo svilupparsi di una classe media nel Paese prescelto. Il secondo fattore determinante è costituito per il 40% dei rispondenti, come è nella logica delle imprese soprattutto quelle italiane soffocate da una burocrazia asfissiante, dalla bassa complessità delle normative del Paese di destinazione. Di poco meno rilevanti sono considerati dagli operatori il livello di rischio del Paese e il livello degli investimenti da sostenere per l’avvio di una nuova attività commerciale: entrambe le voci sono state flaggate dal 37,14% degli interpellati. Anche la vicinanza geografica ha un peso rilevante per il 34% circa del campione.

La formula commerciale preferita per lo sviluppo all’estero

Il 60% del campione indica il franchising come formula commerciale privilegiata per sbarcare sui mercati internazionali contro il 34,29% che si dichiara a favore della composizione mista (diretti e franchising) e il 5,71% pro punti vendita diretti.

Le motivazioni dei retailer non interessati allo sviluppo all’estero

È una motivazione dettata dalla prudenza e dal momento storico-economico che le imprese stanno attraversando quella che spinge l’80% del campione, di chi si dichiara non interessato ad internazionalizzarsi, a una scelta di campo senza mezzi termini: chi non va all’estero lo fa essenzialmente per consolidare il proprio business in Italia, per capitalizzare il know how e metterlo a disposizione degli affiliati su tutto il territorio nazionale o comunque nelle città che meglio si adeguano al tipo di prodotto/servizio commercializzato.
Il 20% ritiene di non avere una struttura adeguata, una risposta, anche questa, che evidenzia la prudenza degli operatori e la cautela con cui si muovono. C’è, infine, un altro 20% che annovera tra le motivazioni anche la mancanza di risorse finanziarie adeguate. Qui si potrebbe aprire una riflessione sul mondo del credito e sulla difficoltà da parte delle imprese nell’accesso ai finanziamenti. È auspicabile che qualcosa si muova in questo senso e che le banche riaprano i cordoni della borsa, perlomeno per le imprese più meritevoli, al fine di sostenere anche lo sviluppo oltreconfine.