Contratto d'Affitto d'Azienda e contratto di Franchising

Donatella Paciello

Data

ott 07, 2013

In un momento di grave congiuntura economica come quello attuale, nel quale l’accesso al credito per le imprese appare quanto mai difficile e laborioso, sono due, principalmente, le forme contrattuali d’impresa che consentono l’inizio di nuove attività economiche con l’impiego di minori risorse economiche per gli investimenti di start-up: il contratto di franchising e il contratto d’affitto d’azienda.

Può quindi tornare utile fare un raffronto comparato tra le due fattispecie al fine di individuare lo schema economico-contrattuale che, a seconda del tipo di attività che si vuole incominciare, e alla “forma” che gli si vuole dare, può risultare più idoneo allo scopo perseguito.

Il contratto d’affitto d’azienda è disciplinato dagli artt. 2555 e ss. del codice civile. La finalità di tale contratto è un trasferimento non definitivo, ma solo temporaneo, del complesso aziendale, inteso come il complesso unitario di tutti i beni - mobili e immobili, materiali e immateriali (si pensi ai marchi, ai brevetti o all’avviamento) - organizzati per la produzione di beni o servizi, ossia per l’esercizio di un’impresa. 

Per effetto della stipula di un contratto di affitto d’azienda il titolare di quest’ultima – detto concedente - attribuisce l’intera gestione della stessa azienda a un terzo, chiamato affittuario, che si obbliga: 

1) a gestire l’azienda senza modificarne la destinazione e in modo da conservarne l’efficienza dell’organizzazione, degli impianti e delle scorte; 

2) a pagare al concedente un corrispettivo, il cd. canone d’affitto, per l’utilizzo dell’azienda. Non necessariamente è oggetto di trasferimento l’avviamento commerciale.

ll contratto di franchising, regolato dalla legge 129/2004, è quell’accordo con cui il franchisor concede al franchisee, tra l’altro, la “disponibilità”, per la commercializzazione di determinati beni o servizi, di diritti di proprietà industriale e intellettuale – tra cui marchi, brevetti segni distintici e know-how – inserendolo in una rete commerciale diffusa sul territorio e a fronte del pagamento, da parte del franchisee, di un corrispettivo.
Nel contratto di franchising, oggetto del “trasferimento” sono quindi, essenzialmente, il know-how e l’ utilizzo dei diritti di proprietà industriale e intellettuale di cui è titolare il franchisor il quale, tuttavia, a differenza del concedente l’affitto, non si “spoglia” di tali beni immateriali e tantomeno della sua azienda: concede semplicemente l’uso di alcuni sui beni a fronte di un corrispettivo, la fee di ingresso e, eventualmente, di royalties periodiche calcolate, di norma, sul fatturato.
Il concedente trasferendo l’azienda trasforma il suo rischio imprenditoriale nell’aspettativa di un rendimento periodico formalmente certo e predeterminato – il canone d’affitto che deve ricevere dall’affittuario – mentre quest’ultimo può intraprendere un’attività imprenditoriale, assumendosene la responsabilità, senza dovere affrontare iniziali pesanti investimenti per costituire l’azienda.
Proprio quest’ultimo profilo – ovvero il minor impegno economico in termini di investimenti iniziali – presenta profili di similitudine con il franchising poiché, anche in quest’ultimo, il franchisee consegue il risultato pratico di cominciare un’attività imprenditoriale “saltando” in gran parte la fase di start-up ed inserendosi in una rete di affiliati già presenti sul mercato con una formula commerciale “avviata” – si presume - con successo.

DIFFERENZA TRA CANONE D’AFFITTO E ROYALTIES

Mentre nel contratto d’affitto d’azienda il canone costituisce il corrispettivo per la disponibilità e l’utilizzo del bene “azienda”, ed è un elemento essenziale del contratto d’affitto - nel franchising il corrispettivo, sotto forma di fee di ingresso e, eventualmente, royalties, è il prezzo versato dal franchisee per il trasferimento e l’uso del know-how, per l’uso dei segni distintivi e l’assistenza commerciale, tecnica e amministrativa del franchisor. Fee e royalties, se previste, sono quindi il corrispettivo per la disponibilità di singoli assets – oltre al godimento di servizi - che non costituiscono, in sé e per sé, un’azienda.
Anche nell’azienda trasferita con il contratto d’affitto possono ben confluire, come beni immateriali, marchi, brevetti, modelli di utilità e un know-how, ma questi non vengono in rilievo singolarmente presi bensì come assets appartenenti, appunto, al più vasto complesso di beni organizzato per l’esercizio di un’impresa e dunque il canone va a pagare l’uso del complesso interamente considerato e non dei singoli assets che lo compongono.

SUCCESSIONE NEI CONTRATTI E NEI RAPPORTI ECONOMICI 

Per quanto riguarda i contratti in essere, tra il concedente l’azienda e i terzi, al momento della concessione in affitto dell’azienda, il codice civile prevede la norma generale per la quale i contratti “aziendali” – ossia quelli conclusi per l’esercizio dell’impresa e che siano a prestazioni corrispettive - si trasferiscono automaticamente all’affittuario, con la sola esclusione dei contratti con carattere personale (cioè i contratti per i quali l’identità delle parti è requisito fondamentale per i contraenti).
Esiste dunque un principio generale di “continuità” economica e gestionale tra cedente e cessionario che è derogabile potendo le parti prevedere l’espressa esclusione di tale meccanismo per uno o più contratti.
Nulla di tutto ciò è, al contrario, previsto per il franchising. In esso il franchisor e il franchisee – seppure riuniti nell’esercizio dell’attività imprenditoriale all’interno di una rete e sotto gli stessi segni distintivi – sono pur sempre imprenditori “economicamente” e “giuridicamente” autonomi, come li definisce la legge 129/2004, e pertanto franchisor e franchisee non rispondono delle obbligazioni contrattuali assunte dall’altro. Non vi è dunque nessuna successione “legale” nei contratti tra franchisor e franchisee.
Tali meccanismi hanno una connotazione particolare nel caso dei contratti di lavoro subordinato.

RESPONSABILITA’ CONTRATTUALE VERSO I TERZI 

Pur restando ferma l’autonomia giuridica tra franchisor e franchisee, la circostanza che il franchisee operi sotto il marchio del franchisor è una circostanza che deve essere tenuta in considerazione con particolare riguardo alla tutela di quanti, avendo contratto con il franchisee, attirati dal prestigio e dalla notorietà del marchio del franchisor, si convincono erroneamente, ma in buona fede, di avere a che fare direttamente con l’impresa del franchisor della quale il franchisee costituirebbe una mera unità operativa.
Sotto questo profilo la giurisprudenza ha elaborato alcuni principi che vanno nel senso di tutelare il terzo in buona fede, prevedendo che, delle obbligazioni o degli atti del franchisee, risponda anche il franchisor in tutti casi in cui quest’ultimo non si sia diligentemente adoperato, con tutti i mezzi necessari, per rendere nota, ai terzi, la distinzione e l’autonomia tra lui e il franchisee.
Un principio non dissimile è stato elaborato dai giudici anche per il concedente nell’affitto di azienda: la Cassazione ha sostenuto quest’ultimo può essere chiamato a rispondere delle obbligazioni assunte dall’affittuario, se non abbia reso noto ai terzi l’intervenuto affitto di azienda, a tutela del loro affidamento. La responsabilità verso i terzi si declina tuttavia in maniera distinta riguardo ai contratti di lavoro subordinato.
Nel contratto d’affitto d’azienda, ai sensi dell’art. 2112 c.c., i rapporti di lavoro tra terzi lavoratori e concedente continuano ope legis con l’affittuario; al contrario, per quel che riguarda il franchising, proprio in forza del principio di autonomia imprenditoriale delle parti, i lavoratori dell’una o dell’altra parte possono esercitare i loro diritti solo verso il datore di lavoro – franchisor o franchisee - che li ha assunti e per il quale lavorano.
Il Tribunale di Milano, con una nota sentenza del 2005 (25.5.2005), attenuando tale principio di “separazione”, ha tuttavia statuito che - qualora il franchisor eserciti, nei confronti del franchisee, soprattutto nella gestione del personale, un potere di controllo che superi quello ritenuto ragionevole e funzionale al coordinamento dell’attività economica richiesto dalla formula della rete di affiliazione -, il lavoratore assunto dal franchisee possa far valere i suoi diritti anche nei suoi confronti.

NATURA DI IMPRENDITORE DELLE PARTI

Oggetto del contratto d’affitto è il diritto, per l’affittuario, di utilizzare – tecnicamente “gestire” – i beni organizzati in azienda dal concedente per ricavarne un profitto a fronte del pagamento al concedente di un corrispettivo, il canone di affitto d’azienda appunto.
L’affittuario quindi deve essere necessariamente un imprenditore, al pari del franchisee.
Il concedente invece - a differenza del franchisor che, ai sensi dell’art. 1 della legge 129/04, è un imprenditore - non necessariamente deve avere tale qualifica o, pur avendola, deve esercitare in concreto un’attività di impresa all’atto della sottoscrizione del contratto; il concedente può anche essere meramente proprietario di un complesso di beni “solo potenzialmente idoneo” a costituire un’azienda necessaria per l’esercizio di un’attività di impresa. Ne consegue che l’avviamento non è elemento essenziale di trasferimento dal concedente all’affittuario. 

DIVIETO DI CONCORRENZA

L’art. 2557 c.c. prevede, in capo al concedente, un divieto di concorrenza in favore dell’affittuario, nei limiti definiti dalla norma, per i 5 anni successivi alla concessione in affitto dell’azienda: tale divieto è inderogabile ex lege ed è una clausola essenziale del contratto d’affitto poiché risulta evidente che la continuazione, da parte del concedente, di un’attività in concorrenza con quella dell’affittuario svuoterebbe di fatto la finalità e la ragione stessa del contratto d’affitto d’azienda.
Nel franchising, invece, come prevede l’art. 3, c. 4 della L.129/2004, la pattuizione sul divieto di concorrenza del franchisor è solo eventuale e va a modularsi avuto riguardo alle eventuali “clausole di esclusiva territoriale” concesse al franchisee.
Contrariamente a quanto si crede comunemente, l’assegnazione al franchisee di un ambito territoriale nel quale esercitare la sua attività non comporta, automaticamente, anche la concessione di un’esclusiva su quel territorio; l’esclusiva, se voluta, deve essere specificamente pattuita nel contratto, redatto in forma scritta a pena di nullità.
Va peraltro considerato che, nel franchising, la concorrenza al franchisee, oltre che dal franchisor, può venire anche da altri affiliati alla rete: il franchisor può infatti, se non si obbliga a non farlo, sia riservarsi il diritto di gestire punti vendita diretti sia fare entrare altri affiliati nella stessa zona.
E’ rimesso dunque alla contrattazione delle parti prevedere se, e in quali limiti, il franchisor si obbliga a non fare concorrenza al franchisee, rimanendo peraltro di problematica soluzione, con riguardo a un’ipotetica responsabilità extracontrattuale del franchisor, il caso di violazioni dell’esclusiva concessa a un franchisee da parte di un altro affiliato. Il divieto di concorrenza nel contratto di franchising può essere unilaterale, se posto a carico di uno solo dei contraenti (franchisee o franchisor), ovvero bilaterale, se vincola entrambi.

UTILIZZO OBBLIGATORIO DEI SEGNI DISTINTIVI AZIENDALI

L’affittuario, ai sensi del combinato disposto degli artt. 2561-2562 c.c., deve esercitare l’azienda sotto la ditta del concedente, al fine principale di evitare il depauperamento dell’avviamento commerciale creato da quest’ultimo: questo profilo assimila il contratto di affitto di azienda alla disciplina del franchising ove l’utilizzo, da parte del franchisee, dei “diritti di proprietà industriale ed intellettuale” concessi in godimento dal franchisor, non solo è un elemento essenziale del contratto, ma, si può dire, è quello più tipico.
Tale elemento è così cruciale nel franchising che la legge che lo regola, elenca la specifica indicazione dei marchi usati dal franchisor e dalla rete tra le informazioni precontrattuali obbligatorie che il franchisor deve fornire, all’aspirante franchisee, almeno 30 giorni prima della sottoscrizione del contratto.
In conclusione si può dire che, accanto a finalità in qualche modo equiparabili – l’ingresso nel mondo dell’impresa con minori investimenti iniziali – le due figure presentano, sotto il profilo giuridico, più elementi di distinzione che elementi di similitudine. 
Va detto infine che queste due forme contrattuali possono anche coesistere “parallelamente” nel regolare i rapporti tra un franchisor e un franchisee; è il caso nel quale il franchisor concede in affitto al franchisee un suo “ramo di azienda” – per esempio un punto vendita diretto - funzionalmente autonomo e necessario, per il franchisee, all’esercizio dell’impresa secondo le regole del contratto di franchising stipulato col franchisor.
In questo specifico caso di contratti funzionalmente “collegati”, vanno studiati con particolare attenzione gli effetti che possono avere, l’uno sull’altro, le vicende che interessano l’esecuzione di uno solo dei due: argomento molto articolato che costituirà oggetto di un prossimo approfondimento.